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La musica va in scena

DSC_0313Romanticismo e contemporaneità è il tema dato al primo degli incontri musicali programmati dall’associazione Zagreus in collaborazione con Synapsis Chamber Orchestra.

Al teatro dell’Acquario saranno infatti messi in scena in tutto quattro serate-dittici in cui saranno messi a confronto compositori contemporanei insieme a registi, maestri di musica e direttori d’orchestra.

La prima delle quattro, ha proposto un godibilissimo concerto con musiche di Beethoven, Gershwin ed una prima nazionale del compositore Pelecis.

Un’orchestra di diciannove elementi tra cui flauti: Valentina Marchese e Roberta Zirilli; clarinetti: Mariagaia Di Tommaso e Stefano Cinnirella; oboe: Ludovico Bozzafra Siciliano; fagotti: Davide Acciardi e Daniele Costanzo; corni: Andrea Di Stasi e Lorenzo Patella; tromba: Giuseppe Pugliano; percussioni: Gianfranco Esposito; violini: Manuel Arilia (spalla), Teresa Giordano, Francesca Santoro, Chiara Maiorano; viole: Francesca Manoccio e Domenico Scicchitano; violoncelli: Alessandra Ciniglia e Antonio Pellegrino; tre pianisti: Giovanni Battista Romano, Danilo Blaiotta e Andrea Bosa che hanno suonato alternativamente, oltre il direttore Marco Gatto.

OperAct, ovvero la contemporaneità in un atto, ha quindi portato in scena

Programma Ouverture Coriolano op. 62 ed il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in do min. op. 37 di Ludwig van Beethoven dove il solista Andrea Bosa ha eseguito la parte del pianoforte. Il secondo compositore ad entrare in scena è stato un inedito Georgs Pelecis – che con il suo “Concertino bianco per pianoforte e orchestra d’archi” (1983), ha visto come solista al pianoforte Giovanni Battista Romano

Chiude George Gershwin con la sua classica e magica Rhapsody in blue per pianoforte e orchestra, interpretata al pianoforte da un istrionico Danilo Blaiotta.

Da sinistra: Marco Gatto, Maria Scalese, Antonello Antonante
Da sinistra: Marco Gatto, Maria Scalese, Antonello Antonante

Esperimento riuscito, in attesa dei prossimi spettacoli che calcheranno le tavole dell’Acquario, come sempre aperto ad iniziative innovative in cui giovani talenti ambiziosi credono fortemente e che, grazie anche alla sensibilità come quella di Maria Scalese di Zagreus, vengono riconosciuti.

Vranzzandari, “U mart a zata” e maccarruni

Carnevale festa tipica dei paesi cristiani; periodo festivo tra Natale e la Quaresima che inizia, secondo le diverse tradizioni, il 17 gennaio o il 2 febbraio e culminante la sera del martedì grasso con balli, strenne mascherate e baldorie durata circa settimana. Questo è anche il giorno della grande abbuffata di ogni tipo di cibo ma in particolare di carne, di cui ci si dovrà astenere, invece, dal mercoledì in poi, quando inizia la quaresima. La parola composta carnevale deriva da Karne vale, o carnovale, composta da carne e levare cioè levare la carne.

Anche per questa festa in ogni paese e città esistono diverse tradizioni,  alcune ancora presenti che si ripetono, se pur modificate. Altre sopite dal tempo ma importanti  da ricordare per la trasmissione del nostro patrimonio culturale

A Tarsia, in passato, i bambini giravano per i vicoli del paese mascherati  alla buona con vestiti, a volte, improvvisati e fatti con pochi stracci da loro stessi;  i maschi si vestivano da femmine o al contrario, altri da vacchierella,  da zingarella, e pochi si potevano permettere le maschere classiche di Allerchino, Pulcinella e Colombina. Giravano di casa in casa ripetendo una filastrocca: “Zizza zizza zizza ‘ma dunati nu pochi i sazizza??” Invitando le persone a farsi dare piccoli doni, ma quello più ambito era proprio la salsiccia che avrebbero mangiato insieme la sera del martedì grasso.

Gli adulti, per lo più solo uomini, mascherati e detti in dialetto “Vrazzandari”, andavano in giro di sera a far baldoria per le vie del paese cantando e suonando anche bellissime serenate. Andavano a far visita anche a casa di amici che, dopo averli riconosciuti, offrivano loro vino e cibo. Ma i “Vrazzandari” suscitavano anche un po’ di paura, specie tra le donne e bambini perché accadeva che, qualche balordo, approfittando del travestimento, combinava qualche marachella.

Le vie del paese erano animate da spassosissime farse, scritte e organizzate da qualche volenteroso del paese, “i mesi dell’anno” e “U processo a Carnalivari”, “Carnalivari muurtu”, il funerale e l’incendio del fantoccio che impersonava la figura del re Carnevale. Gli attori, sempre giovani del paese, erano seguiti da un lungo corteo di spettatori e a ogni scena  si cambiava vicinato.

“U mart a zata”

Infine la sera del martedì grasso a  “u mart a Zata”, dopo la morte di Carnevale, la tradizione prevede una grande abbuffata di maccarruni  (fusilli al ferretto) con sugo polpette e involtini di maiale e salsicce. Abbuffarsi un tempo era quasi un obbligo dettato dalla superstizione, un modo per accattivarsi la buona sorte: il contrario sarebbe stato un “malagurio”. Infatti da qui deriva “a Jastima” cioè la maledizione: ” ‘un di vo abbuttà manca a sira a zata”, Che tu non possa  saziarti mai, nemmeno  la sera del martedì grasso.

Emilia Sannuto

 

Uno dei piatti che va per la maggiore nella tradizione carnascialesca tasiana è rappresentato dai Maccarruni cu purpette e vrascioleLa tradizione vuole che se ne faccia incetta oltre che bisognava produrne in grande quantità, tanti da poterne mangiare ancora il giovedì dopo il merocledì delle ceneri di cui farne in grande quantità tanto da rimanerne anche per il giovedì, il giorno dopo le ceneri, proprio per sopperire al mercoledì sacro.

Per i maccarruni (fusilli al ferretto)

Per 4 persone

Farina circa 600gr.

Acqua q.b

Impastare gli ingredienti fino ad ottenere un composto elastico.

Dividere l’impasto in tanti pezzi e ottenere la forma di un bastoncino del diametro di circa mezzo centimetro e lungo circa tre/cinque centimetri. Poggiare l’apposito utensile (ferretto squadrato) sul bastoncino di pasta e, con movimenti veloci andando avanti ed indietro, allungare il bastoncino di pasta almeno del doppio e dando ad esso la forma di un grosso bucatino. A quel punto sfilare il ferretto dalla pasta e poggiare il fusillo così prodotto su un telo dove saranno allineati tutti i fusilli fino a completare l’impasto.

Per il condimento:

Preparare le braciole di carne di maiale con fettine arrotolate intorno ad un ripieno di prezzemolo, aglio, alloro, pancetta, sale e pepe; fermare il rotolo ottenuto con uno stuzzicadente o con il gambo di origano essiccato; farlo rosolare nell’olio bollente e aggiunge la salsa di pomodoro; quando la salsa è quasi pronta, buttare nel sugo anche le polpettine di carne di maiale precedentemente fritte in olio evo, dove cuoceranno ancora per qualche minuto.

Cuocere i fusilli in abbondante acqua salata, scolarli e condirli con abbondante sugo e polpette. Aggiungere una spolverata di pecorino grattugiato e mangiare ancora fumanti.

Fiorenza Gonzales

Guugliu nuuvu, considerazioni sull’olio d’oliva a Tarsia

Sono diversi i proverbi che hanno per tema l’Olio d’oliva; proviamo a ricordarne qualcuno…

I gaviti pi cogli i fichi e ri vasci pi cogli alivi. (Le donne alte per la raccolta dei fichi e quelle basse per la raccolta delle olive)

Vinu vijcchiu e guugliu nuuvu (vino vecchio e olio nuovo)

L’antico proverbio suggerisce di consumare l’olio nell’arco di un anno per gustarne intatte tutte le proprietà organolettiche.

Secondo le più diffuse credenze popolari, farlo cadere a terra porterebbe sfortuna, ”malagurio”, dicevano a Tarsia, cioè segno di cattivi presagi. Tutto ciò si può spiegare se consideriamo la preziosità dell’olio per le generazioni passate e il danno arrecato quando si sprecava o andava perso. L’olio, infatti, è da sempre considerato l’oro giallo della società contadina, il re della cucina, il condimento principale per ogni pietanza a iniziare dalle prime pappe tra cui il pan cotto con l’alloro dato ai neonati, essenziale per gustose fritture, consumato crudo sulle zuppe di legumi e fresche insalate.

Un filo di olio sul pane fatto in casa, “pani e guugliu” costituiva, invece, una merenda deliziosa e nutriente per i bambini dei meno abbienti. Molto usato anche per la conservazione di ortaggi come melanzane, funghi, pomodori secchi, ma anche salumi e persino i fiori di sambuco. Infine veniva bruciato in apposite lampade per produrre luce e rappresentava anche il rimedio per piccoli inconvenienti:  ragadi, rossori, pruriti. Messo in infusione con bucce tritate di agrumi come il cedro piretto,  diveniva cosmesi per profumare e lisciare i capelli.

In passato la produzione dell’olio è stata per Tarsia fonte primarie dell’economia, basata esclusivamente sull’agricoltura. Intorno al centro urbano colli e vallate abbondavano di piccoli ed estesi uliveti e proprio a ridosso del paese il territorio era denominato a“Liveddra, di proprietà della famiglia Curti e Gabrielli. Il toponimo richiama la grande estensione di un tempo di piante di ulivi, oggi via Olivella, per lo più edificata e perfettamente integrata nell’assetto urbano. Noti anche altri territori per le coltivazioni di olive come  “U parchi i Renne” della famiglia Rende, le Conche Galasso dei Rossi, Alboreto dei Severino, U parchi i Cavucci, Camigliano, il Feudo dei Monaci, Abenante, ecc.

Nel periodo a cavallo tra il 700 e 800, la produzione di olive doveva essere  molto abbondante considerando che, per l’estrazione dell’olio esistevano sette trappeti, (frantoi) di proprietà di ricchi massari e grandi proprietari terrieri:  Nicola Bovino alla Torretta poi passato a Curti; Pier Paolo Alessio, alla Piazza; Ferdinando Vivacqua allo Ulmo; Fabrizio Laurelli al Casalino; Giuseppe Petrellis all’Ulmo;  Alessandro Focaracci alla Piazza; Rossi al Cancello.

La raccolta delle olive iniziava a Novembre, quando le olive erano mature e nere , ed era affidata quasi esclusivamente alle donne, mentre gli uomini i “Scutulaturi” con lunghe canne scuotevano i rami per far cadere le olive, prontamente raccolte dalle donne. La mattina all’alba i folti gruppi di donne, assunte per la raccolta, la cosiddetta “partita delle olive”, si muovevano dalle loro umili case a piedi, per raggiungere gli uliveti dei padroni, a volte molto distanti  con il cesto, “u panaru” (fatto di  canne intrecciate) al braccio, dentro al quale portavano un frugale pasto da consumare nella breve pausa. La loro giornata era lunga e faticosa con la schiena piegata e con le mani nella fredda terra, sorvegliate dai “guardiani” (gli uomini del padrone) e spronate ad essere più svelte. Ma quello che toccava alle raccoglitrici era solo la quarta parte del raccolto, da cui deriva il termine “ara partita”, cioè lavoro pagato con una parte del raccolto. La molitura delle olive avveniva la sera al frantoio, con la macina di pietra fatto girare da asini o cavalli e dove avveniva il rito della degustazione dell’olio col pane tostato al fuoco (a frisa ‘mpusa all’ugliu).Le donne usavano portare l’olio a casa con contenitori di terracotta chiamati “trantine”  e poi conservato nelle “ciarre” di terracotta o “ciarruni” in ferro mentre “l’ogliarulu” serviva  per dosare l’olio in cucina. Nella zona di Tarsia si potevano trovare diverse qualità di olive per l’olio tra cui “marineddre”, “ruggianise” e “cumugnani”.

Emilia Sannuto

Per l’anima dei morti

Tarsia

E’ possibile raccontare la storia di un popolo, conoscere il  passato, anche attraverso il cibo?

Se lo chiedono Fiorenza Gonzales ed Emilia Sannuto, giornalista ed appassionata di enogastronomia, esperto tecnico di oli vergini ed extravergini la prima, e storica dell’arte, storiografa la seconda.

Le tradizioni gastronomiche, perse o ancora in uso, ci permettono di ripercorrere usi e costumi di una determinata popolazione appartenente ad una certa area geografica.

Il viaggio delle nostre protagoniste inizia da Tarsia, uno dei più antichi borghi della bassa Valle del Crati che sorge nel punto in cui il fiume si apre verso la piana di Sibari, noto per essere stato sede, in località Ferramonti, di uno dei più grandi campi di concentramento dell’epoca fascista.

Il territorio a forte vocazione agricola ha vissuto e vive tutt’ora dei principali prodotti della terra: agli uliveti e vigneti presenti, si aggiungono piantagioni di cereali e coltivazioni di ortaggi e, nella vicina zona di Corigliano, agrumeti. Tutti protagonisti assoluti delle tavole degli abitanti, una popolazione di contadini, proprietari terrieri, mezzadri, oltre a famiglie di nobili provenienze.

Le ricette raccolte, alcune delle quali accompagnate da detti e proverbi, sono tratte maggiormente dalla rielaborazione della tradizione orale degli abitanti che raccontano anche un pezzo di vissuto legato soprattutto ad una società basata sulla suddivisione in classi. Le esposizioni che seguiranno saranno descrizioni di ricette usate in particolari ricorrenze dell’anno con un significato ben preciso.

Le ricette saranno talvolta accostate a detti, proverbi, canti, favole, brevi racconti, leggende, un insieme di forme di trasmissione delle usanze, dei riti, delle pratiche, dei gusti, dei comportamenti della popolazione di Tarsia.

 

Per l’anima dei morti

Perché l’anima dei morti riposi in pace e risalga direttamente in paradiso, ecco due ricette  che la tradizione vede ancora sulle tavole imbandite nelle giornate di commemorazione dei defunti perché associate ad un rituale in suffragio delle anime degli estinti.

Si è persa invece la tradizionale richiesta porta a porta da parte dei ragazzi appartenenti ai ceti meno abbienti i quali si recavano presso le famiglie più facoltose che offrivano loro fichi secchi (molto simile all’attuale richiesta “dolcetto o scherzetto” che sta imperversando anche oggigiorno nelle città )

 

Pitticeddre

Piccoli pani a forma di pitta che venivano distribuiti nel vicinato in suffragio dei defunti.

Ingredienti:

Farina, acqua, lievito madre e un po’ di sale.

Impastare fino a far risultare il composto liscio.

Fare lievitare. Impastare nuovamente e creare dei piccoli pani, fare il buco al centro, fare lievitare ancora ed infornare (possibilmente in un forno a legna).

 

Ciciri e laganeddra

Se ne cucinava una grande quantità che veniva distribuita ai meno abbienti. Lo scopo di questo gesto, la distribuzione ai poveri, era analogo ad una preghiera per i defunti o una messa a loro dedicata.

 

Ingredienti:

per l’impasto: acqua, farina, un pizzico di sale.

per il condimento: ceci, olio evo, pomodori pelati o freschi da sugo, aglio (o cipolla) tagliato finemente, basilico (a piacere), peperoncino (a piacere).

Preparazione:

Fare l’impasto per la laganeddra (tagliatella senza uova), un composto di farina, acqua e sale; lavorarlo molto, fino a farlo risultare compatto e liscio.

Tirare la sfoglia sottile, rotolarla su se stessa. Prendere un coltello e tagliare tanti tronchetti larghi non più di mezzo centimetro.

Intanto dopo essere stati a bagno per una notte, vengono fatti cuocere i ceci nella pignata (tipico contenitore in terracotta dalla forma di un’anforetta), nel camino, accanto alla brace.

Si prepara quindi un sugo leggero a base di pomodori pelati (o freschi) tagliati a cubetti con aglio o cipolla, peperoncino e basilico ( a piacere ).

Far cuocere in abbondante acqua bollente la laganeddra;  a cottura ultimata scolare non del tutto la pasta ed aggiungere mescolando uno per volta prima la salsa di pomodoro, poi i ceci lessati insieme alla loro acqua di cottura. Mescolare dolcemente per non rompere la pasta, lasciare riposare pochi minuti e servire.

 

Fiorenza Gonzales


Legambiente vs Beach litter

I Circoli Legambiente di Petilia Policastro e di Crotone, insieme alle associazioni di Le Castella: Prociv-Arci, Gruppo Giovani “Le Castella”, con la partecipazione dell’associazione “La Poiana” di Mesoraca e il patrocinio del comune di Isola Capo Rizzuto, hanno aderito a “Spiagge e Fondali Puliti”, campagna nazionale/internazionale di Legambiente. L’intervento di pulizia si è svolto domenica 8 giugno ed ha interesseto un tratto di spiaggia e di fondale adiacente al Castello Aragonese di Le Castella. Dal 1995, ogni anno durante l’ultimo weekend di maggio, migliaia di volontari coordinati da Legambiente danno vita a una delle più grandi manifestazioni di volontariato ambientale internazionale, Clean Up The Med: una pulizia generale delle coste del Mediterraneo per liberarle dai rifiuti abbandonati e restituirle alla loro originale bellezza. Un gesto di grande civiltà che unisce idealmente le popolazioni di lingue e culture diverse di ben 1.500 località costiere. L’iniziativa, avviata da alcuni giorni, in numerose spiagge italiane, è arrivata alla conclusione che “Una marea di plastica invade le nostre spiagge”. I rifiuti più frequenti sulle nostre spiagge sono bottiglie e contenitori di plastica. Seguiti da tappi e coperchi, a pari merito con i mozziconi di sigaretta, poi da stoviglie usa e getta di plastica, dai cotton fioc e da mattonelle e calcinacci. Sono i risultati dell’indagine sulla beach litter (rifiuto da spiaggia) curata da Legambiente secondo il protocollo scientifico del ministero dell’Ambiente e di Ispra, nell’ambito della campagna Spiagge e Fondali puliti – Clean up the Med che ha impegnato durante il fine settimana migliaia di volontari nella raccolta dei rifiuti abbandonati. Obiettivo dello studio  è indagare la quantità e la tipologia di rifiuti presenti sulle spiagge italiane e del mediterraneo al fine di contribuire all’applicazione della direttiva europea sulla Marine Strategy.  Un provvedimento che dà chiare indicazioni sull’impatto dei rifiuti marini e sull’obbligo di intervenire e rappresenta un’importantissima occasione per attuare finalmente politiche coordinate tra i diversi settori che riguardano il mare.

“Eruzione” studentesca a Vulcano

Per iniziativa di alcuni studenti iscritti al primo anno del corso di laurea magistrale in Scienze Geologiche, la scritta UNICAL è stata immortalata in uno scatto fotografico che in queste ore sta facendo il giro sui social network. Si tratta di un’istantanea realizzata a Vulcano, una delle isole Eolie, che riproduce l’acronimo disegnato con le pietre raccolte all’interno del cratere, e loro, i protagonisti di questa curiosa esperienza, con la mani verso il cielo, come a voler esprimere il senso di allegria e lo spirito di libertà che li ha animati.

Pan. Kro, presentato il progetto della provincia di Crotone

Questa mattina, nella sala Giunta della Provincia di Crotone, nel corso di una conferenza stampa sono stati illustrati 3 itinerari legati alle produzioni tipiche locali, ma anche all’identità mitica dei luoghi magici del territorio provinciale, le cosiddette “Vie del Pan.Kro.”

Il progetto Pan.Kro.  è  finalizzato alla valorizzazione del paniere dei prodotti tipici del territorio provinciale avviato nel 2010 dall’Amministrazione presieduta da Stano Zurlo attraverso fondi comunitari.

All’incontro con i giornalisti erano presenti il presidente della Provincia Stano Zurlo, l’assessore Domenico Spataro, il dirigente Maria Teresa Timpano, la funzionaria Rosalba Mancini, la stagista Stefania Malerba. Da ricordare che sul Pan.Kro. sono stati già espletati una serie di adempimenti a cominciare dalla registrazione del marchio territoriale, pressola Camera di Commercio, e la nascita del comitato consultivo per l’utilizzo del marchio. A breve comincerà una campagna di comunicazione. Gli itinerari, intesi come tracciati identitari della Provincia di Crotone traggono spunto da tre principali prodotti tipici. Si tratta del vino, dell’olio d’oliva e del latte con i suoi derivati. Sulle vie dei prodotti principali si innestano ulteriori tipicità come la sardella, il pane, le castagne per rendere il paniere dei prodotti un’esperienza unica. Per ogni percorso la traccia unificante trae origine dalla storia mitologica che si sposa con elementi reali quali la presenza di aziende, paesaggi, aree di produzione dei marchi registrati. Il percorso diviene quindi architettura base, da implementare progressivamente con contenuti relativi alla fruibilità turistica (ricettività, beni culturali, opportunità di svago) per divenire pacchetto turistico enogastronomico.

 

 

Sulle “vie” dei prodotti tipici di Crotone

Allo scopo di presentare gli itinerari del PAN.KRO, per i quali è in via di posizionamento la cartellonistica all’entrata di ogni Comune della Provincia di Crotone, mercoledì  5 giugno 2013, alle ore 11,00 pressola Sala Giunta della Provincia di Crotone si terrà un’apposita conferenza stampa.

Il progetto pan.kro , finalizzato alla valorizzazione del paniere dei prodotti tipici del territorio provinciale ed avviato nel 2010, ha concluso le attivita’  di definizione del regolamento del marchio territoriale del pan.kro, registrato presso la Camera di Commercio e la nascita del comitato consultivo per l’utilizzo del marchio, la valorizzazione delpaniere dei prodotti tipici vede, nella definizione di alcuni itinerari turistici, basati sulle produzioni enogastronomiche, un punto focale e per questo, sono stati delineati tre distinti itinerari.Gli itinerari del pan.kro, intesi come tracciati identitari della provincia di Crotone, traggono spunto da tre principali prodotti tipici crotonesi: il vino, l’olio di oliva, il latte e i suoi derivati (pecorino-formaggi); sulle “vie” dei prodotti principali si innestano uleriori tipicita’…la sardella, il pane, le castagne, per rendere il paniere dei prodotti un’esperienza unica ! per ogni percorsola traccia unificante trae origine dalla storia mitologica che si sposa con elementi reali quali la presenza di aziende, paesaggi, aree di produzione dei marchi registrati. il percorso diviene quindi architettura base, da implementare progressivamente con contenuti relativi alla fruibilita’ turistica (ricettivita’, beni culturali, opportunita’ di svago) per divenire pacchetto turistico enogastronomico.

 

 

Basta strumentalizzazioni sui fatti di Corigliano

I terribili eventi accaduti a Corigliano Calabro (la tragedia che vede al centro l’assassinio della sedicenne Fabiana Luzzi) hanno generato un vortice mediatico che mescola pensieri di opinionisti improvvisati e non, non solo riguardo il tema del femminicidio ma anche un generale e perbenistico sdegno verso la Calabria ed i Calabresi.

Tra i commenti più singolari, nei quali ho potuto imbattermi nel web, spicca quello di Domenico Naso per Il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/27/donna-in-calabria-non-vale-nulla/607276/). Tralasciando il titolo (si fa per dire), è l’inizio dell’articolo a preoccuparmi “La tragedia di Corigliano Calabro non mi ha colpito per nulla.” Ora, vorrei evitare di dilungarmi sulla descrizione che il mio collega ha sapientemente usato rivolgendosi alle donne calabresi onde dilungarmi in noiose indicazioni di quanto sia sbagliata una visione di una simile realtà, vorrei soffermarmi sul fatto che non è umanamente possibile che esista qualcuno che rimanga indifferente verso un simile episodio di violenza, estrema.

La Calabria sta vivendo un periodo nero, riguardo la politica, la criminalità, il deficit regionale che spaventa ( e non poco), a pensarci bene è, forse, uno dei suoi peggiori periodi e tra le altre cose bisogna ammettere che il calabrese in generale vive di una educazione estremamente maschilista ma tutto ciò non giustifica tali eventi e soprattutto non giustifica un accanimento (mediatico) verso un popolo (quello calabrese) che è molto più di quello che appare dai rabbiosi scritti dei suoi conterranei emigrati e da tutti gli altri, ovviamente, che della Calabria e della situazione della donna in calabria, sanno ben poco.

Eventi come quello di Corigliano calabro purtroppo accadono ovunque, forse troppo spesso. Mi piacerebbe poter dire che accadono solo in Italia, ma ti efferate esplosioni di violenza sulla donne, ne è piena la cronaca mondiale. Episodi simili sono sintomatici di un pensiero globale che vede ancora l’uomo padrone della donna e marcano profondamente il distacco, che in questi anni sta aumentando vertiginosamente, verso il raggiungimento di una società civile. Purtroppo, caro Domenico Naso, è il mondo che sta girando ne l verso sbagliato, e l’indifferenza, il “me lo aspettavo”  sono le vie peggiori che si possono prendere per riuscire a risolvere, globalmente, un problema simile.

Al di là di queste mie banali considerazioni, vorrei semplicemente esortarvi di finirla con tutte queste speculazioni sul caso di Corigliano, basta, perché dovreste ricordarvi anzitutto che una madre ed un padre hanno perso la loro figlia.

Oscar Mari

Nex gen della guerra fra console Caratteristiche e dettagli delle nuove nate di casa Microsoft e Sony

  Xbox One PlayStation 4
Processore CPU AMD 8-core x64 CPU 8-core AMD x86-64
GPU Chip D3D 11.1
32 MB memoria embedded
AMD Radeon
Memoria 8GB DDR3 8GB GDDR5
Archiviazione 500GB Sconosciuta
Drive ottico Blu-ray/DVD Blu-ray/DVD
I/O USB 3.0 USB 3.0
Connettività Wireless Ethernet, tre moduli 802.11n WiFi,
WiFi Direct
Ethernet, 802.11 b/g/n WiFi,
Bluetooth 2.1
A/V HDMI in e out,
1080p e supporto 4K
HDMI, Composito, Optical out
Rilevamento dei movimenti Kinect 2.0, sensore profondità a infrarossi 250,000 pixel,
sensore RGB 1080p
PlayStation Eye,
sensore dual lens 1280 x 800 pixel

 

 

Sebbene per la vera battaglia bisognerà attendere il periodo natalizio, Microsoft e Sony hanno già presentato le rispettive “armi”: Ps4 e Xbox One. Come potete vedere dalla tabella sovrastante (fonte: www.tomshw.it ) entrambe le console presentano componenti molto simili ma le differenze principali sono sostanzialmente due: gli 8 GB di memoria RAM: DDR3 nel caso di Xbox One e GDDR5 per PS4, poi, il fatto che Microsoft  sia salita sul palco presentando il design della console, a differenza di Sony. Altra somiglianza sarà nella gestione della multimedialità, entrambe (le console) saranno capaci  di registrare video e catturare immagini mentre ci si diverte con i videogiochi attraverso le due periferiche PsEye(Ps4) e Kinect 2.0(Xbox One) quest’ultimo sarà incluso nell’acquisto di ogni nuova Xbox e sarà una parte cruciale per il funzionamento della stessa.  Nella sua conferenza di presentazione Sony ha annunciato molti più giochi attraverso la visione di gameplay spettacolari mentre l’azienda di Redmond(Microsoft) si è concentrata  sull’interfaccia, sul controllo vocale, sui servizi televisivi e le potenzialità multimediali della nuova Xbox One. L’unico componente “fisico” presentato da Sony nella conferenza di NY è stato il nuovo controller, il dual shock 4.

Gli ingegneri Sony hanno cercato di renderlo più ergonomico, modificandone la forma, persino quella dei tasti dorsali per facilitarne la giocabilità. Gli storici pulsanti “Select” e “Start” sono stati uniti insieme nel tasto “Options” mentre una delle novità più importanti riguarda l’inserimento del nuovo pulsante “Share” Grazie a quest’ultimo i giocatori potranno condividere in tempo reale foto, immagini e video del gioco, in streaming, sia sulle piattaforme di condivisione video che nei vari social network. Altra novità è il touchpad inserito sulla parte frontale del DualShock 4, presente inoltre una barra luminosa a LED per riconoscere il profilo dell’utente in uso associato al singolo controller. Il Dual shock 4 è inoltre associato a un’altra periferica, la fotocamera Dual, che riesce a “localizzare” la posizione nello spazio del controller. Funzioni ampliamente sfruttabili da parte degli sviluppatori dei videogiochi che andranno a girare sulla piattaforma Sony.

Parliamo ora delle periferiche Xbox One, ossia Kinect 2.0 e il nuovo joypad. Qui le promesse si fanno alte infatti vengono presentate delle funzioni che assicurano un’esperienza, non solo videoludica ma multimediale, sbalorditiva. Come abbiamo già specificato ogni Xbox One sarà dotata di un Kinect 2.0, infatti il funzionamento della console sarà impossibile se non vi sarà attaccata la periferica (e se dovesse rompersi?). il nuovo Kinect permetterà di registrare video con qualità Full HD 1080p a 30 frame al secondo,  può contare su una velocità di elaborazione dati di 2 gigabits al secondo e permette di gestire fino a 6 persone contemporaneamente. Un deciso passo avanti rispetto ai 2 utenti gestiti dalla versione attuale. Microsoft ha specificato che la precisione è aumentata al punto tale da permettere di monitorare perfino i dati biometrici come il battito cardiaco e i muscoli facciali, per capire lo stato d’animo di un giocatore magari mentre è impegnato a cimentarsi in una prova particolarmente difficile. Comandi spaziali e vocali si sprecano su Xbox One, infatti per accedere alla console basterà pronunciare l’apposito comando per ritrovarsi nella schermata principale dove si possono impartire ulteriori ordini per avviare giochi, cercare programmi TV, far partire applicazioni, brani in MP3, filmati archiviati sull’hard disk e così via. Microsoft nella sua presentazione ha enfatizzato la possibilità di dialogare con la console il che dovrebbe aumentarne la facilità di utilizzo e l’integrazione con le varie app scaricabili (avendo un sistema operativo basato su Windows8). Il controller sarà molto simile a quello dell’Xbox 360 (sebbene porti ben 40 diverse modifiche interne). Ottimizzato in maniera analoga al Dual Shock di Ps4 presenta però una grande novità ossia l’effetto Force Feedback, cioè una forza contraria che permette di resistere alla pressione del grilletto da parte dell’utente. Grazie a questa soluzione gli sviluppatori potranno simulare numerose situazioni, come il battito cardiaco del proprio alter ego virtuale, le differenti tipologie del manto stradale percorso, l’effetto ABS in un gioco di guida e molto altro. Forse la peculiarità più sbalorditiva è la presenza di un “triplice” sistema operativo. Il “primo” quello principale è basato su un Kernel di Windows 8 appositamente adattato per la console, il secondo entrerà in funzione quando si accederà alla sezione videoludica, il terzo permette una comunicazione fra i primi due. Il triplo sistema operativo consentirà di produrre diversi pannelli visivi, cioè vari strati di contenuti con risoluzione 1080p che potranno essere gestiti e visualizzati indipendentemente. Grazie a questa tecnologia sarà possibile, per esempio, giocare mentre si gestisce un’applicazione basata su “Windows OS”, come una chat di Skype, su un pannello in sovrimpressione. Oppure guardare un programma televisivo o un evento sportivo mentre si gioca o si usa un’altra applicazione. Per gestire tutto questo si potrà fare affidamento al joypad, ai controlli vocali e ai gesti riconosciuti da Kinect. Microsoft ha mostrato che per ridimensionare i pannelli e ancorarli alla schermata home basta far finta di prendere i bordi dello schermo e “rimpicciolirlo”.

Come già annunciato in precedenza le due conferenze di presentazione sono state molto diverse, Sony ha preferito lasciare (molte?) cose nel mistero mentre Microsoft ha annunciato sia il design della console che numerose sbalorditive funzioni. Entrambi i prodotti in ogni caso si focalizzano su una marcata integrazione “social” che di sociale ha davvero poco. I ricordi della prima generazione di console sono abbinati ad immagini di amici impegnati in epiche sfide tra loro su giochi come Tekken o soltanto al piacere di andare a trovare un amico per poter vedere quei poligoni tridimensionali così primitivi, muoversi, che all’epoca sembravamo un sogno avverato. Si rimaneva terrorizzati dalle immagini del primo Resident Evil, seppur prive di ogni dettaglio grafico ma completamente coinvolti in un insieme di emozioni condivisibili realmente col compagno che ti stava vicino. La “next-gen” di console ha spostato tutto ciò nel mondo virutale, addirittura si vocifera di una futura scomparsa dei giochi usati, infatti ogni gioco sarà abbinato ad un account che poi verrà spostato nel cloud, un archivio on line. Il disco servirà solo per la prima installazione poi avremo a disposizione la nostra collezione completa in rete. Si perderà il piacere di incontrarsi per aiutarsi a vicenda nella risoluzione di un particolare “enigma” in quanto basterà condividere su un social network ogni difficoltà. Alcuni rumors ipotizzano che tra anni dovremo comprare i giochi direttamente da un market in internet ed in nome della più totale pigrizia (ed alienazione) non bisognerà allontanarsi dal divano per accedere ad ogni contenuto multimediale presente in casa (mp3, tv, decoder ecc…). E pensare che trent’anni fa per poter chiamare un amico eri costretto ad uscire da casa! Con questa piccola riflessione non si vuole condannare le possibilità offerte dalla tecnologia, bensì un suo futuro, possibile, abuso. Dopo tutto sta a noi consumatori saper utilizzare i prodotti che ci offrono.

La conclusione è semplice e si racchiude in una domanda: le paure sono legittime o siamo noi troppo legati alla sicurezza di un passato arretrato da avere così tanto terrore delle novità ?

Oscar Mari