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Brigantaggio, questione meridionale e nascita dello stato italiano

LUZZI (CS) – Il tema del brigantaggio, della questione meridionale e della nascita dello Stato italiano nel 1861 negli ultimi tempi ha avuto una ripresa sia nel campo della ricerca che nel dibattito pubblico. La questione principale rimane quella relativa al ruolo del Mezzogiorno e dei meridionali all’interno di questo processo politico. Di questi temi si parlerà il prossimo 18 gennaio alle ore 16.00 presso l’auditorium (ex liceo classico di Luzzi), all’interno del Seminario di studi sul brigantaggio in Calabria “Briganti e brigantesse in Calabria” curato dal Prof. Vincenzo Garofalo, presidente della Pro Loco di Luzzi, con la collaborazione dell’Istituto Ominicomprensivo Statale.                                In questa prima tappa del seminario di studi sarà presentato il volume di Giuseppe Ferraro, Il prefetto e i briganti. La Calabria e l’unificazione italiana (1861-1865), Mondadori-Le Monnier. La presentazione sarà curata dalla professoressa Rosalba Granieri e moderata dal corrispondente della Gazzetta del Sud Claudio Cortese. Il volume è sato insignito da numerosi premi come “Spadolini” a Firenze, “D’Attorre” a Rimini, “Troccoli Magna Graecia”. Ferraro è dottore di ricerca in Storia presso l’Università degli studi della Repubblica di San Marino, cultore della materia presso l’Università della Calabria. Fa parte anche del comitato scientifico dell’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea e della rivista della Deputazione di storia patria per la Calabria, della redazione della rivista “Giornale di storia contemporanea” e della “Rivista calabrese di storia del ‘900”. Ha pubblicato su diverse riviste tra cui “Nuova rivista storica”, “Il Risorgimento”, “Giornale di Storia Contemporanea”   

Lavoratrice madre: il licenziamento è consentito?

Non di rado la gravidanza di una lavoratrice rappresenta un problema nei rapporti con il datore di lavoro, il quale a causa dell’assenza “tutelata” della dipendente decide di licenziarla o induce la stessa alle “dimissioni volontarie”.

Proprio per scongiurare e combattere tale pericolo è intervenuto il nostro legislatore, prevedendo un espresso divieto del licenziamento durante il periodo che va dalla gravidanza al primo anno di vita del bambino.

Tale divieto di licenziamento, tuttavia, non opera in casi eccezionali previsti e disciplinati dall’art. 54, comma 3, del D.Lgs. n. 151 del 2001: 1) colpa grave della lavoratrice costituente giusta causa di risoluzione del rapporto; 2) cessazione dell’attività aziendale; 3) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o scadenza del termine nei rapporti di lavoro a tempo determinato; 4) esito negativo della prova.

Partendo dalla prima ipotesi, una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2004 del 26 gennaio 2017 – intervenuta sui contenuti dell’art. 54 – ha stabilito che, per il recesso, non è sufficiente la giusta causa ma occorre un qualcosa di più, rappresentato dalla “colpa grave”, non essendo sufficiente una giusta causa di licenziamento prevista dal contratto collettivo nazionale di categoria. Da ciò discende che la giusta causa e le conseguenti declaratorie del CCNL non sono sufficienti per procedere al recesso nel “periodo tutelato” ma che occorre una colpa soggettivamente più qualificata. Allo stesso modo, con l’ordinanza n. 28770 del 30 novembre 2017, la Cassazione ha ribadito che, il licenziamento intimato alla lavoratrice nel periodo ricompreso tra l’inizio della gravidanza ed il compimento di un anno di età del bambino, in violazione del divieto di cui all’art. 54 del D.Lgs. n. 151 del 2001, è nullo ed improduttivo di effetti, sicché il rapporto di lavoro va considerato come mai interrotto e la lavoratrice ha diritto alle retribuzioni dal giorno del licenziamento sino all’effettiva riammissione in servizio.

La seconda ipotesi richiamata dal Legislatore, in deroga al divieto di licenziamento, riguarda la cessazione dell’attività aziendale. In passato, sia la dottrina che la giurisprudenza, avevano fornito una lettura estensiva della norma prevedendo la possibilità del licenziamento anche in caso di cessazione di un ramo di attività o di un reparto autonomo dell’impresa, a condizione che il datore comprovasse l’impossibilità del reinserimento in un’altra struttura o reparto dell’azienda. Tale indirizzo è stato, poi, abbandonato e la Corte, con le sentenze nn. 18810/2013 e 18363/2013, ha ribadito che solo in caso di cessazione dell’attività dell’intera azienda è possibile il collocamento in mobilità della lavoratrice madre, trattandosi di norma che pone un’eccezione ad un principio di carattere generale, non soggetto ad interpretazione estensiva o analogica.

La terza esimente concerne l’ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta o la scadenza del termine in un contratto a tempo determinato. Nel caso di appalti di servizi, ad esempio, con la scadenza dell’appalto in capo ad un appaltatore e riassorbimento del personale impiegato da parte di un secondo appaltatore vincitore del successivo appalto, non è consentito escludere dalla forza lavoro, quindi licenziare, la lavoratrice in stato di gravidanza o madre di un bambino con meno di un anno di età, solo perché assente per maternità, facendo riferimento alla norma che consente la deroga al divieto di licenziamento per ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta. La Cassazione sul punto ha ritenuto, infatti, illegittimo il licenziamento intimato in un appalto di pulizie, ove l’impresa subentrante aveva assunto tutti i dipendenti ad eccezione di una lavoratrice assente per maternità che aveva un contratto di assunzione a tempo indeterminato.

La quarta ipotesi riguarda l’esito negativo della prova. Il recesso risulta legittimo soltanto se il datore di lavoro non è a conoscenza dello stato di gravidanza. Osserva la Corte Costituzionale con la sentenza n. 172 del 31 maggio 1996, che in caso contrario, per difendere la lavoratrice da prevaricazioni, il datore deve motivare il giudizio negativo concernente l’esito della prova. In questo modo si consente da un lato, all’interessata di fornire l’eventuale prova contraria e, dall’altro, al giudice di valutare i motivi reali del recesso, al fine di escludere con ragionevole certezza che esso sia stato determinato dallo stato di gravidanza.

Avv. Luca Gencarelli

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Il presidente dell’ANM Albamonte ed il centro antiviolenza “Lanzino” insieme, dalla stessa parte

COSENZA – Eugenio Albamonte presidente dell’ANM (Associazione Nazionale Magistrati) si è recato ieri sera in visita al centro antiviolenza Roberta Lanzino. Ad accogliere il presidente Albamonte una nutrita rappresentanza del Centro Antiviolenza, il segretario di Magistratura democratica sezione di Catanzaro, Emilio Sirianni e la vice presidente dell’associazione nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re, Antonella Veltri.

Eugenio Albamonte, magistrato dal 1995, prima di ricoprire il ruolo di presidente dell’ANM, ha lavorato presso la Procura della Repubblica di Roma come Pubblico Ministero. È specializzato in indagini sui crimini informatici e cyberterrorismo. Si è occupato di fenomeni criminali che variano dalla pedo-pornografia online al traffico illecito sul deep web, dal contrasto al terrorismo islamico alle attività di cyber attivismo illegale, al cyber spionaggio.

In Calabria per motivi di lavoro, Eugenio Albamonte ha deciso di visitare Centro antiviolenza Lanzino poiché rappresenta un rifermento fortemente attivo nel contrasto alla violenza alle donne nella regione Calabria.

A presentare il Centro Antiviolenza Lancino, la sua storia, le numerose attività svolte ed anche le difficoltà con le quali ha attraversato trent’anni di storia, è stata la delegata, avvocata Chiara Gravina.

Antonella Veltri, oltre ad essere una figura storica del centro, in qualità di vicepresidente della rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re, ha ribadito l’importanza di una adeguata formazione per quanti operano nel campo della legalità in contrasto alla violenza di genere.

 

Prima di dare la parola allo speciale ospite, la referente del gruppo legale del centro, l’avvocata Marina Pasqua ha chiesto al dott. Albamonte, che venga posta maggiore attenzione all’interazione e al lavoro di rete tra tutti gli attori che si occupano di violenza di genere, sollecitando il massimo impulso alla specializzazione di questi ultimi, con la richiesta non di nuove leggi, ma di una precisa e corretta applicazione di quelle già esistenti, affinché le donne che da anni vengono accolte dal centro.

Il presidente Albamonte, che nella sua carriera ha, in diverse occasioni, manifestato grande sensibilità al tema della violenza alle donne, ha espresso la sua vicinanza al lavoro svolto dai centri antiviolenza, riconoscendo, in perfetto accordo, che è indispensabile una formazione costante da parte dei soggetti giurisdizionali coinvolti, ma che è altrettanto urgente e necessaria una rivoluzione culturale su tutti i livelli, giacché, come egli stesso ha potuto constatare nella sua esperienza nelle varie procure italiane, i retaggi culturali, possono, talvolta, portare a una lettura distorta del fenomeno che si ripercuote purtroppo sulle stesse vittime.

Il centro Lanzino, per ringraziare Eugenio Albamonte della sua presenza ha inteso rilasciare al presidente dell’ANM, la tessera di socio onorario. Un segno di stima, di vicinanza ma anche un suggello simbolico per quella necessaria coesione e collaborazione che non deve e non dovrà mai mancare tra chi si occupa di difendere i diritti di cittadine e cittadini sia a livello sociale che a livello giuridico.

Torroneria, torroni e Pitte di San Martino a Taurianova la tradizione pasticcera firmata “Vincenzo Murdolo”

La Vincenzo Murdolo srl ha radici profonde nel tempo. Era il 1955 quando Vincenzo Murdolo ha iniziato a lavorare nel settore dolciario, specializzandosi nella produzione di creme, dolci, gelati e torroni. A quei tempi l’incontro con il torrone ha in lui stimolato un interesse nuovo per la pasticceria, spingendolo a conoscerne la storia e le tradizioni. Così è cominciato un viaggio, non geografico, ma culturale, che lo ha portato alla ricerca delle essenze e delle origini del torrone. Mastro Cecè, come lo chiamavano tutti, ha approfondito la storia millenaria dell’arte dolciaria del torrone, le sue diverse e infinite lavorazioni, a cui ne ha aggiunto delle nuove attraverso la costante sperimentazione di nuove ricette nel suo laboratorio di Taurianuova.

Oggi la Vincenzo Murdolo srl produce i torroni, friabili e morbidi, le tipiche pitte e le susumelle, insieme a tutti gli altri prodotti di pasticceria potendo contare sul bagaglio delle esperienze e del saper fare accumulato nel corso di tutti questi anni. Chi ha la fortuna di entrare nel laboratorio può constatare come i maestri torronieri e pasticcieri realizzano ogni fase della produzione in maniera del tutto artigianale, scegliendo solo gli ingredienti migliori e più salutari, controllandone provenienza e origine, che sapientemente miscelati raggiungono il perfetto equilibrio della ricetta tradizionale. Senza dimenticare di utilizzare l’ingrediente segreto più importante nella lavorazione del torrone artigianale: la passione.

Per chi vuole gustare tutte le prelibate dolcezze della Vincenzo Murdolo srl lo può fare nel raffinato ed elegante punto vendita di Taurianova al 160 di via Circonvallazione. Oppure comprandole online dal sito www.vincenzomurdolo.it. A voi la scelta. Vi consigliamo l’esperienza, un esperienza di gusto e di piacere.

 

Condominio: non sempre il condomino ha diritto al rimborso per spese condominiali

Può capitare a volte che uno o alcuni condomini prendano l’iniziativa, magari per ovviare a qualche inerzia dell’assemblea, affrontando personalmente delle spese nell’interesse di tutto il condominio.

La casistica è la più varia. Si va dalle piccole riparazioni di apparecchi o impianti comuni (tipico il caso del meccanismo di apertura a distanza del portone di ingresso o quello della sostituzione di lampadine malfunzionanti), fino alla messa in sicurezza o al vero e proprio restauro di elementi architettonici dell’edificio (come nell’ipotesi di spicconatura o rifacimento di cornicioni pericolanti e simili).

In tutti questi casi il problema, molto dibattuto nelle riunioni di condominio, è se chi ha effettuato la spesa senza preventiva autorizzazione dell’assemblea abbia o meno il diritto di ottenerne il rimborso.

Ebbene, la risposta in teoria è semplice ed è contenuta nell’art. 1134 del codice civile che, nella nuova formulazione scaturita dalla riforma del 2012, stabilisce testualmente che “il condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente”. Dunque, la regola è che non vi sia alcun diritto al rimborso; mentre la sussistenza di un motivo di urgenza vale quale eccezione e perciò consente la rifusione delle spese anticipate.

Molto più difficile, però, è orientarsi nella prassi, poiché si tratta di capire se davvero la spesa sia urgente o piuttosto, come a volta accade, abbia carattere impellente solo per il condomino che decide di affrontarla autonomamente.

In particolare, la giurisprudenza, nell’interpretare la norma sopra citata, ha sottolineato che per integrare il requisito dell’urgenza non è sufficiente la semplice trascuratezza degli altri condomini. Di recente la Cassazione Civile, con sentenza del 30 ottobre scorso (n. 25729), ha precisato che per chiedere il rimborso della spesa sostenuta non basta la “difficoltà di procurarsi tempestivamente il consenso e la necessaria cooperazione degli altri condomini”. In questo caso, infatti, il codice prevede che ci si possa rivolgere all’autorità giudiziaria, che può anche nominare un amministratore.

Perché una spesa possa definirsi urgente – e quindi rimborsabile – occorre, insomma, che vi sia un’esigenza che richiede un intervento non dilazionabile nel tempo, tale che il tempo necessario per investire dell’attività l’amministratore possa comportare una situazione di danno o almeno di concreto pericolo.

In definitiva, il diritto al rimborso sorge solo alla duplice condizione che la spesa sia affrontata “per impedire un possibile nocumento a sé, a terzi od alla cosa comune” e che “le opere debbano essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini” (Cassazione Civile sentenza  n. 9177 del 2017).

Avv. Cosmo Maria Gagliardi

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DSA, eccesso di diagnostica in Italia? Cassazione: psicologo a scuola senza consenso è violenza privata.

Negli ultimi anni, i continui cambiamenti legislativi riguardanti la scuola hanno portato ad un proliferare di sigle fra le quali può essere difficile districarsi come ad esempio PDP, BES, DSA. In particolare i DSA, ossia i disturbi specifici dell’apprendimento, sono una categoria di disturbi in cui rientrano dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia e vengono diagnosticati da psicologi e/o neuropsichiatri o eventualmente da altre figure come, ad esempio, il logopedista. La loro diagnosi è di competenza del personale sanitario. In tale contesto clinico si cercherà di comprendere le caratteristiche della persona, punti di forza e di debolezza, eventuali altre difficoltà associate, in base alle quali la scuola dovrà adottare le strategie didattiche opportune e dovrà elaborare un piano didattico personalizzato (PDP). Al giorno d’oggi molti bambini vengono etichettati come DSA. Una volta sarebbero stati definiti semplicemente “birichini” o “monelli”? Esiste un’ossessione da neuropsichiatria? Stiamo vivendo un’epoca di eccesso di diagnostica neuropsichiatrica? Le nuove generazioni sono classificate con sigle indicative di malesseri neuropsichiatrici, con tutte le conseguenze e i danni che ne possono derivare, negli anni a seguire. Il loro percorso scolastico, ed anche lo sviluppo personale e sociale, potrebbe essere compromesso dall’etichetta di bambini “problematici” che si appone loro con tanta facilità, in un’età così critica. La Cassazione, che recentemente è stata chiamata ad intervenire sull’argomento, con la sentenza n. 40291/17 ha rafforzato i dubbi di legittimità su alcuni aspetti della Legge 8 ottobre 2010, n. 170, recante “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico.”, già criticati da più parti in relazione al rischio di medicalizzazione della scuola. Secondo la Cassazione, Sez. V Penale, infatti, la mancanza dell’esplicito consenso da parte di chi è legittimato a prestarlo “integra certamente una compressione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo”. Con l’assunto “Il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di determinazione e di azione la parte offesa (fra le tante pronunce, si veda Sez. V n. 11522 del 03/03/2009 …). Tale principio trova rispondenza in altre pronunce di questa Corte, secondo cui l’elemento della violenza nel reato di cui all’art. 610 c.p. si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza “impropria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione (Sez. V n. 4284 del 29/09/2015, …)” la Cassazione ha riconosciuto nella presenza dello psicologo a scuola senza il consenso del genitore la configurabilità della violenza privata, riaffermando il rispetto della responsabilità genitoriale. In particolare, nel caso specifico sarebbe stato disposto un trattamento sanitario su minori, un’osservazione medico-clinica, senza il consenso dei genitori, in assenza sia di ragioni di urgenza sia di finalità terapeutiche, con lesione dell’integrità psichica dei minori e con ingiusta compressione al libero esercizio della potestà genitoriale. Potendo pacificamente affermare, inoltre, in tema di violenza privata, che la violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza impropria, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione. Inoltre, la relazione redatta dalla psicologa costituisce atto pubblico, in quanto documenta l’attività di osservazione degli alunni compiuta dalla psicologa dell’istituto, che, in tale veste, ha funzioni di pubblico ufficiale. Pertanto, il reato di occultamento nonché di omessa denuncia di cui agli artt. 490 e 361 c.p. possono dirsi sussistenti, al contrario di quanto sostenuto dal Giudice di primo grado. Alla luce di quanto motivato, la Cassazione ha annullato il proscioglimento del Gip di Arezzo nei confronti di due dirigenti scolastici, due insegnanti e della stessa psicologa, portati in causa dai genitori di un bimbo con presunti problemi comportamentali. Gli insegnanti avevano chiesto, senza aver preventivamente informato i genitori e/o aver chiesto loro alcun tipo di consenso, la consulenza del medico durante le ore di lezione per osservare l’atteggiamento relazionale dell’alunno. Al termine dell’analisi durata due mesi, il medico aveva stilato una relazione della quale i genitori erano venuti a conoscenza solo a fine anno scolastico, durante un colloquio con l’insegnante. In seguito, è stata negata loro la richiesta di accesso agli atti, come anche l’esistenza stessa della relazione, da entrambi i dirigenti scolastici succeduti negli anni interessati. La sentenza ha riscosso l’approvazione di cittadini, docenti e dirigenti, associazioni a tutela dei minori e genitori ed anche dello stesso Ordine degli Psicologi, che in una nota si è espresso affermando che “la Corte di Cassazione, con la sentenza 40291/17, ha ribadito quanto è già previsto nelle procedure professionali degli psicologi, i quali operano sempre nei contesti minorili col consenso dei genitori e nell’esclusivo interesse del minore. Non è ammissibile infatti in alcun modo che altre figure, dirigenti e/o insegnanti, possano avvalersi dell’osservazione in via precauzionale da parte dello psicologo per la valutazione clinica di un minore. I genitori (e, nel caso, il tutore) sono gli unici responsabili del percorso di crescita del minore all’interno di regole ben condivise. E poi, ogni osservazione clinica di un minore poggia, e si completa, sulla necessaria contestualizzazione familiare che solo il colloquio con i genitori può fornire”. E’ evidente, dunque, sia sorta la necessità di un intervento di condanna all’approccio medicalizzato che ha investito la scuola a seguito della legge n. 170/2010 sui DSA. La sentenza della Cassazione rappresenta la rivendicazione di un principio secondo il quale il rispetto della genitorialità è fondamentale, in una scuola deputata a istruire e formare le future generazioni e non a distruggerle, minandone l’autostima. La scuola dovrebbe essere in continua evoluzione per potersi adattare, compensare e far fronte al bisogno del singolo alunno e, attraverso l’inclusione dell’individuo, dovrebbe adoperarsi per garantire agli alunni con specifiche difficoltà il raggiungimento degli standard minimi di autonomia personale, con validi strumenti di lavoro, come programmi personalizzati, nel pieno rispetto delle situazioni individuali e dei diversi stili di apprendimento che caratterizzano i diversi individui.

                                                                       Avv. Lucia Boellis

Alla scoperta di Open Fiber: l’ultima generazione delle connessioni in fibra ottica

Alzi la mano chi ogni giorno non si dimena, suo malgrado, con problemi di connessione della rete internet dei propri device, che può compromettere l’esito di tutta una serie di operazioni quotidiane (per studio, per lavoro, per diletto…) che compiamo grazie ad Internet.

Il massiccio processo di digitalizzazione della società in atto non ci permette di restare indietro, né come cittadini, nè come sistema Paese. Avere una connessione wireless efficiente e veloce è un requisito minimo per il buon esito delle nostre attività.

E così, come per l’acqua, il gas, l’elettricità, anche la connessione Internet è ormai diventata un bene primario e la rete interamente in fibra ottica rappresenta il massimo in termini di tecnologia e prestazioni.

In questa direzione Open Fiber, la rete ultraveloce con tecnologia FTTH, ne costituisce la più compiuta evoluzione.

A differenza dell’ADSL, che utilizza i collegamenti in doppini di rame, e della tecnologia FTTC, che utilizza un cavo in rame e l’altro in fibra ottica (fibra che arriva comunque solo fino agli armadi), Open Fiber porta la fibra ottica direttamente in case, uffici, imprese ed enti, assicurando l’accesso ai servizi internet più avanzati, con un’efficienza e una stabilità di connessione mai provate fino ad ora.

La rete ultraveloce è realizzata con tecnologia FTTH, Fiber to the Home, letteralmente “fibra fino a casa”. Infatti l’intera tratta dalla centrale all’abitazione del cliente è in fibra ottica consentendo il massimo delle performance.

Per questi motivi la tecnologia FTTH è l’unica in grado di garantire una velocità di trasmissione fino a 1 Gigabit per secondo, sia in download che in upload, consentendo così il massimo delle performance. Parliamo di prestazioni non raggiungibili con le reti in rame (ADSL) o fibra/rame (FTTC), che arrivano rispettivamente fino a un massimo di 20Mbit al secondo in download e in 1 MBit in upload per le prime, fino a 100/200 Mbit in download e 30 Mbit in upload per le seconde. Ma fra i vantaggi della Fibra ottica in FTTH non c’è solo la velocità. Guardiamo nel dettaglio le principali differenze.

Confronto fra Fibra ottica e Adsl:

  1. Maggiore Affidabilità: In particolare le connessioni in fibra ottica sono più stabili e produttive rispetto alla rete ADSL perché meno soggette a interruzioni e inconvenienti tecnici rispetto al vecchio rame, riducendo così i costi di manutenzione e garantendo un servizio di maggiore qualità per i clienti finali.
  2. Performance elevate: Le reti in fibra ottica sono “ultra larghe”, come una strada a 100 corsie in cui è molto difficile trovare un ingorgo, e per questo le informazioni viaggiano più speditamente e le velocità di accesso sono sempre garantite.
  3. Super efficienza: Le reti di telecomunicazioni del futuro (Next Generation Network – NGN) viaggiano su fibra ottica in quanto quest’ultima ha una vita economica utile molto lunga e una velocità di trasmissione sensibilmente più elevata rispetto a metodologie tradizionali.
  4. Innovazione: La fibra ottica è l’unica soluzione “future proof” con una capacità trasmissiva che in futuro potrà arrivare fino a 40 Gbps.

Vantaggi

In generale la fibra ottica può ritenersi quindi un’ottima alleata, in casa come in ufficio. Infatti per l’uso domestico permette una miglior fruibilità di servizi di streaming, smart tv e gaming online, una maggior velocità ed efficienza in termini di cloud computing e un’elevata sicurezza per le transazioni online dei servizi e-commerce.

Per quanto riguarda i vantaggi per le aziende e le pubbliche amministrazioni, la fibra ottica offre una miriade di possibilità quali: miglior efficienza dei servizi digitalizzati di E-government e sanità, riduzione dell’impatto ambientale nel settore dell’energia; connessione stabile e ad alte prestazioni per tele-lavoro ed E-learning; maggior velocità ed efficienza del servizio di wi-fi pubblico; alte prestazioni di connessione negli ambiti di ricerca e formazione; ottimizzazione dei servizi di mobilità.

Provare per credere! E la vita forse risulterà un po’ meno complicata.

Regali di Natale: come scegliere quello giusto per il nostro lui

Idee regalo per Natale! Di questi tempi un vero tormento, o forse no. La frenesia della vita quotidiana ci impone oggi dei ritmi serrati, talmente stretti che la scelta del regalo di Natale si trasforma, spesso, in una vera corsa agli ostacoli e contro il tempo, sempre ridotto al minimo.

C’è però una soluzione anche a questo e negli ultimi anni gli Shop online rappresentano un’ancora di salvezza per i ritardatari cronici costretti, il più delle volte, a ridursi all’ultimo momento. Ma niente ansia.

Fare acquisti online oggi è diventata una consuetudine assai diffusa anche e soprattutto durante le feste di Natale. E sebbene la scelta dei regali da destinare ai più piccoli oggi richiede un meticoloso ripasso dei prodotti di grido in termini di giochi e tecnologia varia, la scelta del cadeaux per un lui, resta, da sempre, la più difficile.

Ma niente paura! Navigando in Rete le idee e le alternative non mancano. La proposta per il Natale 2017 del noto eCommerce Zalando, ad esempio, nella sezione dedicata ai Regali per lui si presenta come un vero e proprio vademecum con tante proposte originali, di charme e glamour adatte ad ogni tipo di esigenza.

Una ricca gamma di prodotti, a prezzi accessibili, che viaggiano dall’eleganza classica all’animo casual, agli outfit a tema. Si passa poi al comfort urbano, alle avventure urbane, allo stile senza tempo.

Per ogni “lui”, che sia il compagno, il marito, il fratello, il figlio, si potrà trovare un regalo da apprezzare e, perché no, anche da amare. Sfatato il mito che le donne “sono più complicate”, i maschietti di ogni età possono stare sereni: per i più “esigenti”, che non si accontentano alla vista di un regalo tradizionale, vi consigliamo una visita all’eShop Troppotogo.it che, nella sezione dedicata a Gadget ed Elettronica, mette a disposizione curiosi oggetti di nicchia.

Nel caso nessuna delle soluzioni precedenti vi convincesse, potete decidere di scegliere un accessorio tra portafogli, cinture, orologi o zaini e borse per uomo. Un’ampia selezione di questo tipo è consultabile sul sito Burberry.com.

In alternativa, il nostro consiglio è quello di ripiegare su una gift card. Sono tantissimi gli eCommerce che offrono questa possibilità e in questo modo sarete sicuri di non sbagliare.

Un trend in netto aumento quello che vede il “sesso forte” una stirpe in continua evoluzione e altrettanto affascinata dallo shopping, dalla moda, da tutto ciò che in diversi settori è di tendenza. E che questo Natale sia la volta buona in cui “finalmente lo abbiamo reso felice”, proprio come si fa con i bambini!  

L’Enrico IV di Carlo Cecchi, il teatro nel teatro di Pirandello

Smontato e rimontato, battute ridotte e lingua più vicina a quella attuale: è l’Enrico IV di Carlo Cecchi, una delle figure di spicco del teatro contemporaneo d’innovazione italiano, in cui riveste i panni di attore e regista per la produzione Marche Teatro.

Atteso al Tau dell’Unical, lo spettacolo di ieri sera è stato applaudito da un teatro che ha registrato un gran numero di presenze per una commedia che arriva in Calabria in esclusiva regionale in programma per il secondo appuntamento della stagione Meridiano Sud.

E’ la terza opera di Pirandello firmata dal regista fiorentino dopo L’uomo, la bestia e la virtù e Sei personaggi in cerca d’autore.

In Enrico IV Carlo Cecchi ha voluto prendere le distanze dal linguaggio pirandelliano senza mai contestarne i temi tanto cari al drammaturgo siciliano: follia, verità e finzione.

Ridotto ad un unico atto, la pazzia dell’Enrico IV di Carlo Cecchi diventa una scelta del protagonista e non la conseguenza di un trauma dalla caduta di cavallo. L’Enrico IV di Pirandello guarisce dopo dodici anni, quello di Cecchi sembra battezzare la vocazione teatrale dell’interprete principale. Un efficace esempio di metateatro in cui si fondono e si confondono personaggi reali e interpreti di una doppia scena: quelli della vita ed i commedianti. Quasi come crocerossini, gli interpreti di Cecchi indossano i panni degli attori per soccorrere il pazzo Enrico IV, per aiutarlo ad uscire dalla sua pazzia così come consigliato dal dottor Genoni, un bravo Gigio Morra.

Altera e superba, la presenza elegante di Angelica Ippolito arricchisce la scena ridotta all’osso da Cecchi in un continuo fare e disfare fra attori alle prove e attori in scena.

«Il testo narra la vicenda di un uomo che da circa vent’anni veste i panni dell’imperatore Enrico IV – si legge nella nota stampa –  prima per vera pazzia, poi per abile inganno per simulare una nuova vita, e infine per drammatica costrizione e diventa così l’emblema del legame pirandelliano tra maschera e realtà.

La vicenda è quella di un nobile che aveva partecipato ad una mascherata in costume, nella quale impersonava Enrico IV; alla messa in scena prendevano parte anche Matilde, donna di cui era innamorato, ed il suo rivale in amore Belcredi. Quest’ultimo disarcionò Enrico IV, il quale, nella caduta, battè la testa e si convinse di essere realmente il personaggio storico che stava impersonando. Dopo dodici anni, però, Enrico guarisce e comprende che Belcredi lo ha fatto cadere intenzionalmente per sottrargli Matilde. Decide così di fingersi ancora pazzo, di immedesimarsi nella sua maschera per non voler vedere la realtà dolorosa».

Cosa rimane allora della follia pirandelliana? La parte di un attore che prima per vera pazzia poi per finzione ed infine per costrizione, è obbligato ad interpretare. Ma senza esagerare perché “domani dobbiamo fare un’altra replica”.

Fiorenza Gonzales

Locazione: niente canone senza registrazione del contratto  

 

L’art. 1, comma 346, della I. 30.12.2004 n. 311, stabilisce che “i contratti di locazione (…) sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati“. La chiara e inequivocabile lettera della legge non consente alcun dubbio sul precetto che esprime e cioè che un contratto di locazione non registrato è giuridicamente nullo. 

Sulla base di tale premessa la Corte di Cassazione, Sezione Terza, con la sentenza pubblicata il 13 dicembre 2016 ha annullato la sentenza emessa dalla Corte di appello che da un lato aveva ritenuto valido, ma inefficace un contratto non registrato e dall’altro, che tale inefficacia del contratto non esimeva l’occupante dall’obbligo di pagamento del canone pattuito “come corrispettivo della detenzione intrinsecamente irripetibile”.

Ciò perché non risulta applicabile l’art. 1458 c.c., in quanto questa disciplina la risoluzione per inadempimento dei contratti di durata, e non gli effetti della nullità, i quali sono invece disciplinati dalle norme sull’indebito oggettivo, da quelle sul risarcimento del danno, ovvero da quelle sull’ingiustificato arricchimento, come misura residuale;

Inoltre, non risulta possibile equiparare l’obbligo di pagare il canone, scaturente dal contratto e determinato dalle parti, con l’obbligo di indennizzare il proprietario per la perduta disponibilità dell’immobile, scaturente dalla legge e pari all’impoverimento subito.

Con la sentenza richiamata, pertanto, sono stati sanciti due principi fondamentali:

  1. il contratto di locazione non registrato è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, della I. 30.12.2004 n. 311;
  2. la prestazione compiuta in esecuzione di un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo, regolato dall’art. 2033 c.c., e non dall’art. 1458 c.c.; l’eventuale irripetibilità di quella prestazione potrà attribuire al solvens, ricorrendone i presupposti, il diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., od al pagamento dell’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.

Avv. Antonio Nappi