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Locazione: niente canone senza registrazione del contratto  

 

L’art. 1, comma 346, della I. 30.12.2004 n. 311, stabilisce che “i contratti di locazione (…) sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati“. La chiara e inequivocabile lettera della legge non consente alcun dubbio sul precetto che esprime e cioè che un contratto di locazione non registrato è giuridicamente nullo. 

Sulla base di tale premessa la Corte di Cassazione, Sezione Terza, con la sentenza pubblicata il 13 dicembre 2016 ha annullato la sentenza emessa dalla Corte di appello che da un lato aveva ritenuto valido, ma inefficace un contratto non registrato e dall’altro, che tale inefficacia del contratto non esimeva l’occupante dall’obbligo di pagamento del canone pattuito “come corrispettivo della detenzione intrinsecamente irripetibile”.

Ciò perché non risulta applicabile l’art. 1458 c.c., in quanto questa disciplina la risoluzione per inadempimento dei contratti di durata, e non gli effetti della nullità, i quali sono invece disciplinati dalle norme sull’indebito oggettivo, da quelle sul risarcimento del danno, ovvero da quelle sull’ingiustificato arricchimento, come misura residuale;

Inoltre, non risulta possibile equiparare l’obbligo di pagare il canone, scaturente dal contratto e determinato dalle parti, con l’obbligo di indennizzare il proprietario per la perduta disponibilità dell’immobile, scaturente dalla legge e pari all’impoverimento subito.

Con la sentenza richiamata, pertanto, sono stati sanciti due principi fondamentali:

  1. il contratto di locazione non registrato è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, della I. 30.12.2004 n. 311;
  2. la prestazione compiuta in esecuzione di un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo, regolato dall’art. 2033 c.c., e non dall’art. 1458 c.c.; l’eventuale irripetibilità di quella prestazione potrà attribuire al solvens, ricorrendone i presupposti, il diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., od al pagamento dell’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.

Avv. Antonio Nappi

Il difficile equilibrio tra le “corde”

Il difficile equilibrio tra le corde matta civile e seria rimangono al centro di uno dei dilemmi dell’animo umano indagati cento anni fa da uno dei più grandi autori di commedia teatrale italiana, Luigi Pirandello.

Il Berretto a sonagli viene alla luce dopo La verità e Certi doveri dalle quali sembra essere la conseguenza naturale con cui Pirandello affronta il conflitto insanabile tra finzione e verità, tra essere o apparire. Temi di grande attualità su cui tuttora ci si interroga scoprendo, ancora oggi, di trovarsi inevitabilmente soli poiché la verità non può essere affermata nella società a meno che si viene dichiarati pazzi. Sono soltanto i folli che, sfidando le ipocrisie e le regole su cui si basano le relazioni umane, possono avere il coraggio di affermare la verità.

In questa società che ci assegna ruoli descritti bene nel monologo di Ciampa sui pupi (i nostri mille volti già trattati in Uno nessuno, centomila), burattini, ‘maschere’, ‘personaggi’ più che individui veri e propri, privi di libertà. Ogni ‘uomo-burattino’ si spegne all’interno del suo personaggio, arrivando finanche a detestarlo. Tuttavia, probabilmente per quell’orgoglio o per non sentirsi inutile o sconfitto, ognuno difende la sua ‘maschera’ con le unghie e con i denti di fronte agli altri, disposto a tutto pur di conservare al suo ‘pupo’ una apparente rispettabilità. E’ quello che fa il sempre presente seppure invisibile Cavaliere, il potente di turno, unico personaggio della commedia che riesce ad emanare potere senza mai comparire in scena, ad avere il suo peso e a condizionare tutti gli altri personaggi che cercano a tutti i costi di corrompere la verità.

Infine altri due temi sembrano fare capolino nella commedia pirandelliana, il grido soffocato di una donna che vuole liberarsi dai soprusi di un marito che la tradisce e la storia d’amore di Ciampa verso la sua donna, disposta anche a “dividerla” con un altro uomo pur di non perderla.

Temi che ripropongono nuovamente soluzioni insanabili che rischiano di rimanere, ancora tra cento anni, attuali come oggi così come ieri.

Fiorenza Gonzales

 

Bruno Bossio su scioglimento comuni: irrituale dichiarazione di Bindi, Papasso persona per bene

“Appena sono entrata nella Commissione parlamentare antimafia mi sono posta il problema della procedura sugli scioglimenti dei Comuni che e’ collegato al Tuel (testo unico enti locali, ndr). Volevo capire come avvenisse. La prima questione da chiarire è che lo scioglimento di un Comune per mafia non è un atto penale, ma amministrativo. Viene sciolto alla luce di atti amministrativi scorretti. Tant’e’ che quando si fa ricorso a questo atto ci si rivolge al Tar. Ci sono stati alcuni casi di ricorsi al Tar andati a buon fine, penso a quello di Amantea (CS), sul quale il ministero dell’Interno ha dovuto pagare non pochi soldi per questo episodio. Per cui fare il collegamento: comune sciolto per mafia e quindi tutti gli amministratori sono mafiosi, tutti i cittadini sono mafiosi, non va bene”. Cosi’ all’agenzia Dire la parlamentare calabrese, Enza Bruno Bossio (Pd) componente della Commissione parlamentare antimafia, commentando la notizia dello scioglimento per mafia di cinque Comuni calabresi: Lamezia (CZ), Cassano allo Ionio (CS), Marina di Gioiosa Jonica (RC), Isola Capo Rizzuto (KR) e Petrona’ (CZ). “Ci sono degli atti amministrativi – ha aggiunto Bruno Bossio – che, prima la Commissione d’accesso, il Comitato per la sicurezza, il prefetto e poi il ministro decidono di portare a compimento per questa decisione. In questo senso mi e’ sembrata un po’ irrituale la dichiarazione della presidente della Commissione antimafia Bindi perche’ la documentazione sulla proposta di scioglimento non puó arrivare in Commissione, prima che il Consiglio dei ministri prenda la decisione sullo scioglimento. E quindi nessuno di noi ha la possibilita’ di accedere a nessun documento ufficiale”. “Ora dobbiamo capire bene e leggere le carte, cosa che faro’ per ciascun Comune interessato. L’unica cosa che voglio dire con certezza – ha concluso Enza Bruno Bossio – ancor prima di aver letto le carte, poiche’ conosco Papasso personalmente, che il sindaco di Cassano allo Ionio e’ una persona perbene”.

Può un dipendente rifiutare di lavorare nei giorni festivi? L’avvocato risponde

In vista delle prossime festività natalizie si ripropone il tema, sempre “caldo”, del contrasto tra l’eventuale interesse del datore di lavoro alla prestazione lavorativa anche nei giorni di festività infrasettimanali ed il diritto del lavoratore a godere di tempo libero, in tali giorni, da dedicare a sé e alla famiglia.

Secondo l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, ormai consolidato in materia, il datore di lavoro non può obbligare i suoi dipendenti a lavorare durante le festività, celebrative di ricorrenze religiose o civili, se queste sono infrasettimanali.

Sono numerosi i casi in cui i giudici, sia di merito che di legittimità, hanno riconosciuto in favore dei lavoratori un diritto soggettivo che consente loro di scegliere se recarsi a lavoro o meno, senza subire alcuna sanzione disciplinare.

Una delle prime pronunce della Corte di Cassazione risalente al 1997 – vertente sull’astensione al lavoro nella giornata dell’8 dicembre da parte di alcuni lavoratori di un’acciaieria e sul loro diritto a percepire, in ogni caso, la retribuzione per il giorno festivo non lavorato – evidenziava che in occasione delle festività infrasettimanali (celebrative di ricorrenze civili o religiose) a tutti i lavoratori indistintamente è riconosciuto il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in base all’articolo 2 della L. 260/1949: con la conseguenza che, nel caso in cui in una delle festività individuate dalla legge il lavoratore non svolga alcuna attività lavorativa, anche se ciò dipenda dal suo rifiuto, il dipendente ha pur sempre diritto alla normale retribuzione.

Anche recentemente la Suprema Corte con la sentenza n. 22482/2016 è tornata sull’argomento evidenziando come l’articolo 2 attribuisca un diritto soggettivo del lavoratore di astenersi dal lavoro in dette festività, nell’escludere che la decisione datoriale unilaterale possa imporre la prestazione di lavoro, nel richiedere che la rinuncia a detto diritto possa intervenire solo in forza di un accordo tra datore di lavoro e lavoratore.

Nel panorama giurisprudenziale di legittimità si rivengono alcune, minoritarie, pronunce che considerano tale diritto derogabile ad opera dei contratti collettivi, consentendo alla contrattazione collettiva di imporre al lavoratore lo svolgimento della propria attività nei giorni festivi. Si può citare al riguardo la sentenza n. 4435/2004 in cui i giudici della Corte di Cassazione hanno stabilito che “Premesso che, di regola, al lavoratore è riconosciuto il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose, e che la giornata del 15 agosto, celebrativa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, è considerata festiva ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792, allorquando la contrattazione collettiva applicabile preveda, come eccezione alla regola legale, che l’attività lavorativa possa essere svolta anche nei giorni festivi, subordinando la fruizione della festività alle esigenze aziendali, la sussistenza di tali esigenze costituisce il presupposto per l’applicazione del regime di eccezione (contrattuale) in luogo della regola (legale), sicché il datore di lavoro, che invochi l’applicazione della norma contrattuale, deve provare la sussistenza del presupposto di fatto, e cioè delle esigenze aziendali”.

Tuttavia, la giurisprudenza prevalente, e anche la più recente, è conforme nel considerare tale diritto come un diritto di cui le organizzazioni sindacali in sede di accordi collettivi non possono disporre, in assenza di uno specifico mandato ad esse conferito dal lavoratore, essendo il riposo nelle festività infrasettimanali rinunciabile solo mediante il mutuo consenso fra il lavoratore ed il datore di lavoro.

Posti tali principi, recentemente una sentenza di merito (Tribunale di Firenze, Sez. lav., 24 maggio 2017, n. 511) nell’affrontare l’annoso problema dei confini del diritto del lavoratore di astenersi dal prestare attività lavorativa nelle festività infrasettimanali a fronte di interessi pubblici o privati di particolare rilevanza spesso sottesi all’attività esercitata dal datore di lavoro, nel costante tentativo di ricerca di un giusto contemperamento tra le due opposte posizioni, ha risolto il problema conformandosi sostanzialmente all’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte secondo cui spetta al lavoratore un vero e proprio diritto soggettivo di astensione dal lavoro nella giornata festiva, implicante la facoltà di rifiutare insindacabilmente l’effettuazione della prestazione, mantenendo il diritto alla normale retribuzione globale fissa; tale diritto è indisponibile per le organizzazioni sindacali, ma ha carattere disponibile per il lavoratore, unico titolare.

Alla luce di quanto sinora espresso si può certamente rispondere in maniera affermativa al quesito iniziale, in quanto il rifiuto dei dipendenti di prestare servizio in una giornata festiva non può esimere il datore di lavoro dal versamento della normale retribuzione, in quanto il diritto del dipendente di astenersi dall’attività lavorativa in presenza di determinate festività discende direttamente dalla legge ed ha carattere generale.                                                                                 

Avv. Luca Gencarelli

Essere cambiamento. Istruzioni per l’uso. All’Unical Cambiavento incontra studenti e docenti

Cosa significa vivere bene una città? Cosa richiede e cosa produce essere cittadini attivi in una piccola o media città? E se quella città è una città del Sud Italia, cosa significa partecipazione politica, cittadinanza attiva, qualità della vita? I comuni sono fattori di crescita sociale o sono solo macchine per la corruzione e per il quieto vivere dei benestanti?

Queste e tante altre domande sono state poste ieri in un spazio della Università della Calabria, il Dam, che ha raccolto giovani studenti, docenti e cittadini invitati a vedere il video che il movimento civico Cambiavento ha prodotto per far conoscere, fuori dai confini cittadini e regionali, l’esperienza elettorale amministrativa svoltasi a Catanzaro nella primavera del 2017.

Il titolo era significativamente questo: “Essere cambiamento. Istruzioni per l’uso”.

La partecipazione è stata intensa ed attiva. All’incontro sono intervenuti i docenti Unical Walter Nocito
Giovanni Caruso, Giorgio Giraudi. Gli studenti del Dipartimento di Scienze politiche e sociali hanno discusso con Nicola Fiorita, candidato a Sindaco nelle amministrative di giugno scorso a Catanzaro, per il movimento Cambiavento, Gli interventi degli studenti sono stati rivolti soprattutto per conoscere meglio Fiorita e per chiedergli se sia valsa la pena impegnarsi in una città che da tanti anni vota “per la conservazione e rigetta il rinnovo della classe politica”, se ‘fare politica’ ha un costo che il cittadino normale può sopportare, se i giovani hanno spazio nella politica locale e se il sistema elettorale funziona come incentivo al ricambio politico ovvero come meccanismo di mantenimento dello “status quo”.

Fiorita, nel dialogo con gli studenti e nel dibattito, ha sottolineato che ‘fare politica’ ha certamente un costo e che se la protesta contesta ogni ‘costo della democrazia’ diventa un protesta anti-democratica.

Fiorita poi ha sottolineato che, nei comuni, è molto difficile fare opposizione con un sistema che rafforza le maggioranze e indebolisce le minoranze politiche.

Fiorita, infine, ha evidenziato che nei comuni meridionali come Catanzaro, del quale ha raccontato vari aspetti di vita sociale, i giovani e i cittadini non possono rimanere fermi e passivi, ma devono attivarsi con fermezza e con serena determinazione contro le forme di malaffare, di indifferenza e di rassegnazione diffusa.

In conclusione Nicola Fiorita ha esortato i giovani e i cittadini, a Catanzaro come in Calabria, a non lamentarsi del mancato cambiamento politico ma divenire essi stessi  “Essere cambiamento”.

Proprietari dei negozi partecipano alle spese condominiali

CONDOMINIO: ANCHE I PROPRIETARI DEI NEGOZI CHE AFFACCIANO DIRETTAMENTE SULLA STRADA DEVONO PARTECIPARE ALLE SPESE PER LA MANUTENZIONE DELL’ANDRONE E DELLE SCALE CONDOMINIALI.

E’ frequente, nella vita di condominio, che sorgano questioni sulle spese relative all’androne e alle scale condominiali. Spesso chi è proprietario di locali (magari adibiti a negozi) che affacciano direttamente sulla strada o sul marciapiede rifiuta di sostenere le spese per la manutenzione di scale e ingresso dello stabile condominiale. L’argomento di solito adoperato a conforto di questa tesi è che il proprietario di un locale a livello della strada non utilizza l’ingresso e le scale condominiali, al contrario di quanto fanno i proprietari degli appartamenti che sono posti all’interno del fabbricato; dunque non sarebbe tenuto a contribuire alle relative spese.

Vediamo di approfondire brevemente il problema.

Il codice civile stabilisce che sono oggetto di proprietà comune tutti quegli elementi necessari per la configurabilità stessa del fabbricato (art. 1117 c.c.) e la giurisprudenza ha da sempre ritenuto che siano tali anche gli elementi costituenti un tramite indispensabile per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura, a tetto od a terrazza, del fabbricato stesso. L’androne e le scale, per altro espressamente menzionate dalla norma, rientrano in questa nozione di parti comuni a tutti i condòmini, essendo elementi strutturali necessari alla edificazione dello stabile e mezzo indispensabile per accedere al tetto o al terrazzo di copertura.

L’art. 1123 del codice civile, tuttavia, prevede che qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.

E allora, i proprietari dei locali con accesso diretto alla strada (o meglio: senza accesso all’ingresso e alle scale condominiali) devono o no partecipare alle spese?

La risposta è affermativa, come ha chiarito una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9986 del 20-04-2017), pronunciata in un caso concernente spese per lavori di manutenzione straordinaria dell’androne e delle scale, che ha rilevato come in realtà anche tali condomini possono usare l’androne e le scale per raggiungere, come è loro diritto, i locali della portineria e il tetto o il lastrico solare; anzi, a volte hanno addirittura un preciso obbligo, come quando capita che sia necessario accedervi per prevenire e rimuovere situazioni di pericolo che possano derivare dalla insufficiente manutenzione dei beni comuni. Dunque, a meno che non sussista un titolo contrario, i giudici hanno sancito che “ove nell’edificio condominiale siano compresi locali forniti di un accesso diverso dall’androne e dal vano scale, anche i proprietari di detti locali sono tenuti a concorrere, sia pure in misura minore, alle spese di manutenzione (ed eventualmente di ricostruzione) dell’androne e delle scale, in rapporto e in proporzione all’utilità che anche essi possono in ipotesi trarne quali condomini”.

 

Avv. Cosmo Maria Gagliardi

La diocesi di Rossano-Cariati ricorda Mons. Giuseppe De Capua

ROSSANO (CS) – A dieci anni dalla scomparsa di Mons. Giuseppe De Capua (1909-2007) la biblioteca diocesana SS. Nilo e Bartolomeo e l’Archivio storico diocesano hanno organizzato un’importante iniziativa per ricordarne la vita e l’attività pastorale svolta nella diocesi di Rossano-Cariati. Mons. Giuseppe De Capua era nato a Longobucco nel 1909 per poi trasferirsi in tenera età presso il seminario arcivescovile di Rossano. Nel 1933 veniva ordinato sacerdote presso il seminario San PIO X di Catanzaro e pochi anni più tardi diventava segretario particolare dell’allora arcivescovo di Rossano Mons. Domenico Marsiglia.

All’impegno curiale De Capua accompagnò sempre, come ricorda il suo biografo Giuseppe Ferraro, una speciale predilezione per le problematiche sociali e culturali del territorio come dimostrava il suo impegno per la difesa della dignità umana nel campo di Ferramonti di Tarsia, la ricerca, lo studio della sua storia. Nella sua lunga vita ebbe la possibilità di essere stimato come sacerdote e uomo di vasta culturale e di spessore umano. In diocesi ricoprì vari incarichi come quello di cancelliere della curia, più volte vicario generale e rettore del seminario.

Nel 1958 veniva nominato dal Papa Protonotario apostolico, ultimo sacerdote della diocesi di Rossano-Cariati ad essere elevato a tale dignità pontificia. Nonostante gli impegni Mons. De Capua curò sempre la dimensione educativa e formativa dei giovani per la conoscenza del patrimonio cristiano e del territorio. In molti ricordano ancora le sue escursioni tra i sentieri della Sila accompagnato da decine di giovani.

De Capua fu anche prolifico scrittore, numerose sono le sue opere dedicate alla storia di Longobucco e del circondario, alla pietà popolare, alle canzoni dialettali.

La manifestazione si terrà venerdì 3 novembre alle ore 18.30 presso la biblioteca diocesana in via Minnicelli a Rossano. Dopo l’introduzione di don Pino De Simone, direttore della biblioteca diocesana e vicario pastorale per la cultura e l’ecumenismo, interverranno: mons. Nicola Librandi, Arcidiacono Capitolo Cattedrale, don Gateano Federico, direttore archivio storico diocesano, il prof. Giuseppe Ferraro, dottore di ricerca. Dopo gli interventi seguirono le conclusioni di Mons. Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Rossano Cariati. I lavori saranno coordinati dalla giornalista Anna Russo.

Diffamazione a mezzo “social” Cassazione: l’offesa su Facebook è reato

Con l’avvento della “net generation”, è cambiato il modo di relazionarsi. La rappresentazione sociale dell’individuo spesso dipende dalle informazioni che circolano sul web. La crescita esponenziale di condivisione di dati sensibili, immagini ed informazioni personali, attraverso i comuni social network, ha comportato la necessità di assicurare il pieno rispetto della propria e dell’altrui identità, anche su internet. E’ nata, dunque, una nuova figura giuridica meritevole di tutela, l’identità digitale o informatica, un’identità virtuale costituita dai dati personali, che acquistano rilevanza con la diffusione attraverso i comuni “social”. L’evoluzione tecnologica, infatti, ha reso semplice ed accessibile il meccanismo di invasione della sfera privata di un individuo. Diviene, dunque, essenziale evitare che altri violino i diritti tutelati dal nostro ordinamento, e fondamentale consentire ad ogni individuo di disporre del diritto di controllo sulle informazioni di carattere personale che altri possano assumere. Infatti, i dati personali di un individuo possono essere fatti confluire in banche dati, con diverse finalità e può, in tal modo, essere facilmente ricostruita la c.d. “personalità virtuale” di un individuo, attraverso le informazioni raccolte sul suo conto, una sorta di identità digitale che si sostituisce all’identità fisica nel web. Infatti, i contenuti creati dagli utenti e resi pubblici attraverso il mezzo telematico, costituiscono un potenziale veicolo di violazioni degli interessi di terzi ed una minaccia per diritti quali l’immagine, l’onore e la reputazione, la riservatezza, l’oblio. Come evidenziato da alcuni interpreti, infatti, l’utilizzo della rete, che per sua natura tende a connettere individui, formazioni sociali e istituzioni di ogni genere, pone questioni di non facile risoluzione, risolvibili solo con nuovi approcci al diritto, soluzioni mai adottate prima e in taluni casi non ancora individuate. Finanche la Cassazione è stata interpellata per la risoluzione delle nuove problematiche derivanti dall’utilizzo improprio dei “social”. Con la recente sentenza n. 50/2017, la Corte di Cassazione ha riconosciuto come l’offesa realizzata telematicamente, servendosi della bacheca pubblica di un soggetto, integri un vero e proprio reato. In particolare, la Suprema Corte con la sentenza n. 50/17 della sez. I Penale, nel confermare la competenza, nel caso di specie, del tribunale di Pescara, ribadisce che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante (Cass. n. 24431 del 28/04/2015). La circostanza che l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione – peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque – non esclude la natura di “altro mezzo di pubblicità” richiesta dalla norma penale per l’integrazione dell’aggravante, che discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia (come si verifica nel caso della stampa, che integra un’autonoma ipotesi di diffamazione aggravata), in puntuale conformità all’elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 595 terzo comma cod. pen. nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax (Cass. Sez. V n. 6081 del 9/12/2015) e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari (Cass. Sez. V n. 29221 del 6/04/2011)”. Sarebbe riduttivo, dunque, declinare a meri strumenti ludici quelli comunicativi di massa: tutti i social network si fondano sull’elaborazione dell’identità virtuale di un individuo, tuttavia corrispondente a quella di un individuo reale. Di conseguenza, alla rappresentazione della reputazione di un soggetto, concorre direttamente anche quella sociale che di questi si ha in rete. Da un punto di vista giuridico, si può profilare una duplice problematica. La prima, sul versante del diritto alla privacy o alla riservatezza, in termini di protezione dei dati personali e dei dati sensibili, a seguito della violazione dell’art. 2 Cost., dell’art. 8 Cedu, dell’art. 8 Carta di Nizza, del Codice in materia di protezione dei dati personali d.lgs. 196/2003. La seconda, relativamente al bilanciamento tra diritto alla libera manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. e il diritto all’onore. Col fine di tutelare i minori in rete, è recentemente entrata in vigore la Legge n. 71/2017 recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, diventata lo strumento normativo capo fila a livello Europeo dedicato al contrasto del fenomeno del bullismo on line. Non è, però, sufficiente, l’intervento normativo al riguardo: è possibile porre rimedio alla potenziale lesività degli strumenti comunicativi di massa solo attraverso l’uso consapevole dei “social”, da parte di adulti e di minori, e soprattutto attraverso l’informazione finalizzata alla conoscenza degli strumenti di tutela giuridica dei diritti dell’individuo, forniti dal nostro ordinamento, nell’ambito della rete e, soprattutto, della vita reale.

Avv. Lucia Boellis

All’Unical cerimonia di ringraziamento per la Notte dei Ricercatori 2017

Sulle note del duo canoro Alessandra e Roberto la sala dello University Club ha ospitato la Cerimonia della Notte dei Ricercatori 2017 con cui il Rettore dell’Università della Calabria ha ringraziato tutti coloro i quali con il loro apporto hanno fatto sì che anche la quarta edizione di questa importante manifestazione, svoltasi lo scorso 29 settembre, ottenesse un grande successo. E quindi sia soggetti interni all’Unical sia tutti gli enti, gli sponsor, le associazioni e le organizzazioni esterne all’Ateneo che hanno patrocinato, sostenuto o favorito il grande evento scientifico.

Del positivo impatto e delle prospettive future dell’evento ha parlato, invece, il Delegato alla Ricerca e al Trasferimento Tecnologico, prof. Giuseppe Passarino. Mentre l’ing. Andrea Attanasio, Responsabile del Liaison Office, la struttura Unical che ha organizzato e coordinato la Notte dei Ricercatori, ha presentato i risultati quantitativi e qualitativi della stessa come la grande presenza di circa 20mila visitatori ai laboratori,  il significativo coinvolgimento delle scuole, la partecipazione delle famiglie e l’interazione con importanti attori dell’innovazione.

Per FinCalabra, che ha sostenuto la Notte dei Ricercatori, è intervenuta Paola Bianchi che ha confermato la vicinanza dell’Organismo in house providing della Regione Calabria alla manifestazione.

Dell’aspetto che attiene agli spettacoli che caratterizzano la Notte dei Ricercatori ha parlato il direttore artistico Fabio Vincenzi.

Oltre ai ringraziamenti ai dipartimenti e alle strutture Unical, agli enti patrocinanti, agli sponsor, alle associazioni studentesche dell’Ateneo e agli “Amici della Notte”, nel corso della cerimonia sono stati premiati i vincitori del concorso video-fotografico “Immagina la ricerca”; Davide Ielapi per la sezione foto e il piccolo Francesco Caligiure per la sezione video. Premiati, inoltre, i vincitori del Torneo di Football Unical: 1° classificato Circolo Ricreativo Università della Calabria (CRUC), 2° classificato Consiglio degli Studenti Unical.

Ringraziamenti e apprezzamento anche per tutti i soggetti coinvolti in “Sperimenta in corsia”, l’iniziativa che trasferisce nella Pediatria dell’Annunziata di Cosenza la Notte dei Ricercatori con esperimenti, giochi didattici e animazione per i piccoli pazienti.

La cerimonia è stata anche l’occasione per lanciare la successiva edizione della Notte dei Ricercatori che si svolgerà il 28 settembre 2018.

Bruno Bossio: Matteo Renzi ha incontrato la Calabria migliore

COSENZA – Una due giorni attraversando la Calabria, per ascoltare le esigenze dei territori e per incontrare quelle eccellenze presenti sul territorio da sostenere e valorizzare. Si è concluso questa mattina con la visita al Santuario di Paola il viaggio in Calabria di “Destinazione Italia”, il tour di ascolto del segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi.

Soddisfazione per la due giorni è stata espressa da Enza Bruno Bossio, deputata calabrese del Partito Democratico, anche lei in viaggio insieme al segretario Renzi. Durante la due giorni, inoltre, il viaggio è stato l’occasione perché attraverso più incontri svoltisi sul treno in corsa, la deputazione calabrese e il presidente Oliverio hanno avuto modo non soltanto di fare un bilancio delle politiche che il governo nazionale e la Regione hanno messo in campo, ma hanno tratteggiato gli impegni per un’accelerazione delle azioni attuative affinché i segni di ripresa che la Calabria già oggi sta registrando possano irreversibilmente consolidarsi.

“In questo viaggio calabrese – spiega Enza Bruno Bossio – il #TrenoPD ha incontrato la Calabria migliore. Molto è stato fatto in questi mesi da Oliverio, Renzi e Gentiloni. Ovviamente, c’è ancora tanto da fare: infrastrutture e alta velocità sono ancora una priorità per una Calabria meno periferica. Il viaggio non ha evidenziato solo criticità sociali ed infrastrutturali, ma è stato un’opportunità affinché Renzi potesse incontrare esperienze e testimonianze di una Calabria che ha tanto da dare all’Italia intera.

Ripartiamo da qui, ripartiamo dai territori e dalle certezze di una terra ricca di bellezze e di una straordinaria umanità”.