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Tutte le fideiussioni di tutte le banche italiane sono nulle!

Tutte le fideiussioni di tutte le banche italiane sono nulle!

Ad affermarlo è la I Sezione della Corte di Cassazione con l’Ordinanza del 12-12-2017, n. 29810.

Il contratto di fideiussione svolge la propria funzione economica in un contesto – quello della erogazione del credito a tutti i livelli – connotato dalla standardizzazione delle negoziazioni e dal ricorso ai moduli contrattuali che di fatto limita l’autonomia contrattuale del privato; non vi è da stupirsi, quindi, se l’indagine sulle clausole “in deroga” trova, per tradizione, uno dei suoi fronti più caldi nel controllo di vessatorietà delle singole clausole, transitato dalla mera tutela formale della specifica sottoscrizione alle più articolate forme di tutela sostanziale del contraente debole previste dal codice del consumo.

Pertanto, il controllo di vessatorietà sulle clausole “in deroga” deve svolgersi lungo il duplice percorso della contrattazione standardizzata (artt. 1341-42 c.c.) e della tutela del consumatore (artt. 33 ss. c. cons.). 

Nello specifico, seguendo l’interpretazione più condivisa della tassatività dell’elenco di clausole vessatorie contenuto nell’art. 1341, cpv., c.c., l’aggancio più saldo per compiere tale controllo è stato individuato nelle formule contrattuali latamente introduttive di «limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni» o, talvolta, di «tacita proroga o rinnovazione del contratto». La chiave di lettura proposta dalla dottrina ha, tuttavia, trovato riluttante la giurisprudenza fino al parere dei Giudici di legittimità, i quali, nel rimettere la decisione ad altra sezione del giudice di merito, hanno espresso il seguente principio di diritto: “in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative), comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”.

Che tutte le banche riportino esattamente il testo predisposto dalla loro “associazione di categoria” – l’ABI appunto – è un fatto noto e in pratica tutte le fideiussioni di tutte le banche italiane sono nulle!

Avv. Antonio Nappi

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La ripartizione delle spese per la pulizia delle scale condominiali, tra criteri di legge e fai da te

Visto l’interesse suscitato dall’argomento, a distanza di un anno dall’articolo, apparso su questa testata, sull’obbligo anche per i proprietari dei negozi che affacciano direttamente sulla strada di partecipare alle spese per la manutenzione dell’androne e delle scale condominiali, torniamo ad occuparci del problema, molto dibattuto nelle assemblee condominiali, della pulizia e illuminazione delle scale comuni.

Come è noto, il codice civile detta un criterio generale di ripartizione delle spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino (art. 1123). E’ bene precisare subito che tale regola può essere derogata solo con l’accordo unanime di tutti i condomini, tanto che una deliberazione adottata a maggioranza è ritenuta dalla giurisprudenza addirittura nulla per impossibilità dell’oggetto.

Rispetto al richiamato principio generale esiste, però, un’importante specificazione: se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.

Per le spese relative alle scale (e agli ascensori), in particolare, il legislatore ha prestabilito un criterio ben preciso: la ripartizione va effettuata per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo (art. 1124 c.c.). La giurisprudenza, per analogia, ha applicato questo parametro anche alla ripartizione delle spese per la pulizia e l’illuminazione delle scale, che quindi va effettuata tenendo conto dell’altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano.

Ma che succede se l’assemblea di condominio decide, come a volte capita, che alla pulizia delle scale provvederanno, a turno, i singoli condomini? Fin dove può spingersi la volontà della maggioranza?

A questa domanda ha risposto una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 29220 del 13 novembre 2018), decidendo proprio su un caso in cui l’assemblea aveva stabilito per la pulizia una turnazione tra i singoli condomini (anche tramite terzi incaricati e pagati di volta in volta da ciascun partecipante) sulla base di un calendario. Gli Ermellini hanno riconosciuto che pur se esiste un “diritto-dovere di ciascun condomino, ex art. 1118 c.c., di provvedere alla manutenzione delle cose comuni”, tuttavia “non può rientrare nelle attribuzioni dell’assemblea una potestà di deroga ai criteri legali” di cui sopra, a meno, naturalmente, che a decidere non siano tutti i condomini di comune accordo.

Insomma, la delibera adottata a maggioranza con cui si incida sulla misura degli obblighi dei singoli partecipanti al condominio ovvero si modifichino a maggioranza i criteri legali di riparto delle spese per la pulizia delle scale condominiali è irrimediabilmente nulla.

Ave. Cosmo Maria Gagliardi

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Diritto alla Retribuzione Professionale Docenti anche per i “precari” della scuola

Con la recente Ordinanza n. 20015 del 27 luglio 2018 la Suprema Corte di Cassazione, evidenziando la violazione della Direttiva Comunitaria 1999/70/Ce e l’evidente discriminazione posta in essere nei confronti del personale precario con contratti inferiori all’annualità, ha stabilito che anche i precari che hanno lavorato nella scuola con supplenze brevi e saltuarie hanno diritto alla Retribuzione Professionale Docenti (pari a circa oltre 160 euro lorde) prevista dal CCNL del comparto scuola.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, “l’art. 7 del CCNL 15.3.2001 per il personale del comparto scuola, interpretato alla luce del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, attribuisce al comma 1 la Retribuzione Professionale Docenti a tutto il personale docente ed educativo, senza operare differenziazioni fra assunti a tempo indeterminato e determinato e fra le diverse tipologie di supplenze”.

Pertanto, sulla base del percorso argomentativo della Suprema Corte, si evince che il Reddito Professionale Docenti rientra nelle “condizioni di impiego” che, ai sensi della clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il datore di lavoro, pubblico o privato, è tenuto ad assicurare agli assunti a tempo determinato, i quali “non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”.

E’ bene ricordare, inoltre, che la precitata clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, è stata oggetto di esame in svariate circostanze da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha più volte evidenziato che tale clausola esclude in generale qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno.

Nel caso esaminato dai giudici di legittimità, la Corte ha evidenziato, in motivazione, “che il supplente temporaneo, in quanto assunto per ragioni sostitutive, rende una prestazione equivalente a quella del lavoratore sostituito”, ed ha disatteso la tesi del Ministero della Pubblica Istruzione secondo cui la durata temporalmente limitata dell’incarico sarebbe incompatibile con la percezione della Retribuzione Professionale Docenti.

Pertanto, secondo il recente orientamento di legittimità, tutti i docenti che hanno stipulato supplenze brevi e saltuarie potranno vedersi corrispondere la Retribuzione Professionale Docenti nel cedolino stipendiale ed eventualmente recuperare le somme mai percepite.

Avv. Luca Gencarelli

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Donne vittime di violenza di genere: protezione internazionale sancita dalla Cassazione

Sempre più spesso sentiamo parlare di donne che fuggono dai loro Paesi di origine perché perseguitate, vittime di abusi, violenze e mutilazioni. Donne costrette a contrarre matrimonio in giovane età o perché vedove. Queste donne, coraggiose, richiedono la protezione internazionale nel nostro Paese.

Si premette che in Italia, il diritto di asilo è garantito dall’art. 10 comma 3 della Costituzione, che prevede che “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Può essere riconosciuto, perciò, al cittadino straniero che ne faccia richiesta, lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria. Ne consegue una differente tutela, che scaturisce dalla valutazione di una serie di parametri oggettivi e soggettivi inerenti alla storia dei richiedenti, alle statuizioni dei Paesi di provenienza. In particolare, si definisce rifugiato un cittadino straniero che, a causa del fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si ritrovi al di fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza senza potersi avvalere della protezione dello stesso. E’ invece ammissibile la protezione sussidiaria per il cittadino straniero che, pur non possedendo i requisiti per essere riconosciuto rifugiato, se ritornasse nel suo Paese di origine correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno. Lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria sono riconosciute all’esito dell’istruttoria effettuata dalle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di una donna nigeriana che, dopo la morte del marito, a causa del suo rifiuto di sposare il cognato, era stata privata della potestà genitoriale, di tutti i suoi averi ed era stata perseguitata e costretta a lasciare la sua terra. Richiesta la protezione sussidiaria in Italia, che la Commissione Territoriale aveva respinto, la donna era ricorsa dapprima al Tribunale di Bologna fino ad arrivare in Cassazione, che le ha riconosciuto la causa di persecuzione di genere, sulla base del quadro normativo internazionale. In particolare, la Corte fa riferimento alla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza sulle donne, che obbliga gli Stati che l’hanno ratificata “ad adottare le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell’art. 1, a) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo ad una protezione complementare/sussidiaria”. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) del maggio 2002 aveva invitato tutti gli operatori statali coinvolti a considerare la persecuzione legata alla violenza di genere come motivo per l’ottenimento della protezione internazionale. Nella vicenda sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione, si è ritenuto che i fatti narrati dalla cittadina nigeriana rientrassero a pieno titolo tra quelli cui fa riferimento la Convenzione di Istanbul e previsti dall’art. 7 del d.lgs. 251/2007: la donna deve essere considerata vittima di una persecuzione personale e diretta, a causa della sua appartenenza, in quanto donna, ad un gruppo sociale. E, secondo la Corte, proprio il peso delle norme consuetudinarie locali avrebbe impedito alla ricorrente di trovare adeguata protezione nelle autorità statuali del suo Paese di appartenenza. Questa sentenza della Corte di Cassazione, la n. 28152/2017, di enorme portata innovativa, ha sancito il diritto alla protezione internazionale per le vittime di violenza di genere, le quali potranno ora vedersi riconosciuto lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria.

Questa pronuncia si inserisce nell’ambito di un recente orientamento dei inaugurato dalla sentenza n. 12333/2017 della Corte di Cassazione riguardante un caso di violenza domestica. Una cittadina marocchina, vittima per anni di abusi e violenze da parte del marito anche dopo aver ottenuto il divorzio, aveva lasciato il suo Paese ed aveva richiesto la protezione internazionale poiché certa che, in caso di rientro in Marocco, sarebbe stata nuovamente esposta agli abusi e alle violenze dell’ex-marito. Sia la Commissione Territoriale che il giudice di primo e secondo grado avevano rigettato la richiesta in ragione del fatto che la vicenda narrata rientrerebbe nell’ambito dei rapporti familiari non meritevoli di protezione internazionale, considerate le possibilità di tutela offerte alla donna dal suo Paese di origine. La Suprema Corte, invece, ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Roma, poiché non era stato accertato se le autorità statuali avessero un’effettiva capacità di offrire un’adeguata protezione alla donna, vittima delle violenze dell’ex-marito. La vicenda della donna trova tutela nelle previsioni della Convenzione di Istanbul ai sensi dell’art. 3, lett. b) ed i giudici della Suprema Corte aderiscono, in particolare, alla tesi sostenuta nel ricorso secondo cui questa forma di violenza domestica andrebbe ricondotta nell’ambito dei trattamenti inumani e degradanti cui fa riferimento l’art. 14, lett. b), d.lgs 251/2007. Una simile interpretazione appare coerente con la formulazione dell’art. 60 della Convenzione di Istanbul che, come ricordato, impone agli Stati firmatari di riconoscere la violenza di genere come elemento atto a fondare la protezione sussidiaria.

Questa è la storia di R., D., T., G., e di tante altre donne fuggite dal loro Paese perché vittime di violenza. E’ una storia che si ripete, scritta nei loro occhi, segnata sui loro corpi e nella loro anima. Invisibile a chi le guarda e non le vede. Sono miracolosamente scampate ad un tragico destino e portano con loro i colori di chi spera. Sono quelle donne che non si sono arrese e, grazie al loro coraggio, si apre uno spiraglio di salvezza per chi prenderà il loro esempio.

Avv. Lucia Boellis

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Scioglimento della comunione legale tra coniugi

Con sentenza n. 11668/2018 del 14 maggio 2018, la Seconda Sezione civile della Suprema Corte, in tema di azione di scioglimento della comunione legale avente ad oggetto un immobile acquistato da uno dei coniugi in costanza di matrimonio, ha affermato che la decisione del coniuge non acquirente di non partecipare all’atto di acquisto del bene e la successiva destinazione del bene all’utilizzo esclusivo del coniuge acquirente non sono condizioni sufficienti per escludere il bene dalla comunione legale, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento positivo della natura personale del bene di entrambi i coniugi, non sussistente nel caso di mancata partecipazione all’atto di uno di essi, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179, primo comma, lett. c), d) ed f), cod. civ.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso proposto dal coniuge soccombente – affidato a quattro motivi – così confermando l’impugnata sentenza di merito, ha espresso il principio secondo cui in caso di comunione legale tra i coniugi, il bene acquistato dagli stessi, insieme o separatamente, durante il matrimonio, costituisce in via automatica e diretta oggetto della comunione tra loro e diventa, quindi, bene comune ai due coniugi. Ciò anche se il bene sia destinato a bisogni estranei a quelli della famiglia ed il corrispettivo sia pagato, in via esclusiva o prevalente, con i proventi dell’attività separata di uno dei coniugi. 

Nel caso di beni immobili o di beni mobili registrati, come nel caso di specie, tale esclusione deve risultare dall’atto di acquisto, alla cui stipulazione è tenuto a partecipare il coniuge non acquirente ai fini di rendere la dichiarazione in ordine alla natura personale del bene ex art. 179, comma 2, cod. civ.

Avv. Antonio Nappi

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Torna Cosenza Fashion Week, la settimana della moda cosentina

COSENZA – Il centro storico di Cosenza, nei suoi angoli più suggestivi, lo storico Palazzo della Provincia ed il Castello normanno svevo, monumento simbolo della città, poi il Teatro Morelli ed ancora il centro città con la sua bella isola pedonale e le zone a cornice. Sono i tanti luoghi di Cosenza Fashion Week, evento ideato da Giada Falcone – e sposato dall’Amministrazione comunale che lo supporta attraverso l’assessorato alla crescita economica urbana di Loredana Pastore – che da Cosenza accende i riflettori sulla moda nel Sud Italia e sui suoi talenti.

“I luoghi, la Moda”

“I luoghi, la Moda” diventa così il tema di questa seconda edizione, che si terrà dal 24 al 27 maggio, dopo la fortunata parentesi invernale con la sezione Off dell’evento nel calendario di AltaRoma. Nel segno della continuità, dunque, ma già con qualche novità. “In sinergia con l’assessorato guidato da Loredana Pastore – annuncia Giada Falcone – abbiamo voluto caratterizzare  l’edizione 2018 con alcuni focus di attenzione: sull’identità, che passa attraverso i luoghi, sulla innovazione, e non ultima, sull’inclusione, aprendo delle finestre di riflessione sociale che rappresentano per noi un significativo valore aggiunto”.

Ma Cosenza Fashion Week è anche la conferma importante di un evento nell’evento, quella Fashion Night, che dalle ore 21 del 25 maggio regalerà shopping e divertimento, fino a mezzanotte. «Il fermento che abbiamo registrato tra i commercianti per la Notte Bianca della Moda – commenta l’assessore Loredana Pastore – è il termometro del successo di questo evento che, seppure così giovane, ha già fidelizzato tanti commercianti dell’isola pedonale e dell’area limitrofa, che sempre più numerosi abbracciano l’iniziativa offrendosi allo shopping, con personali promozioni, e con l’offerta di intrattenimento. La sinergia con la parte produttiva della città, che è linea guida del nostro percorso amministrativo – conclude – trova in Cosenza Fashion Week una delle sue migliori espressioni».

Novità e conferme

Potenzia anche la sua forza comunicativa la Fashion Week, che lancia sui social #iloveshoppingcosenza ed apre il blog “Oltre la Moda” per raccontare quotidianamente tutti i retroscena ed i protagonisti di questa edizione. Una scorsa al programma: immancabili gli Open Day, che riguardano le accademie di Moda della città e l’Istituto Superiore “L. Da Vinci”. La ricca parentesi formativa dell’evento offre due masterclass gratuite: “Trends Fashion week” e “Dal bozzetto al Brand”, la prima in collaborazione con la Paint-up Make-up Academy e Alessandro Crusco, rivolta a truccatori e fotografi; la seconda, con la stilista Azzurra di Lorenzo. Sono coinvolti anche i bambini per i quali è stato pensato un laboratorio creativo presso la libreria Feltrinelli,  realizzato dalla stilista Sladana Krstic. Questa seconda maratona calabrese della moda porterà in passerella le creazioni di stilisti affermati e quelle di dieci stilisti emergenti. Special Guest, Anton Giulio Grande che, in questa occasione, festeggerà insieme alla famiglia di CFW2018 i suoi primi 20 anni di carriera. 

Stop alle retribuzioni in contanti. Da luglio 2018 solo pagamenti tracciabili

Tra poche settimane entrerà in vigore il divieto per i datori di lavoro di pagare in contanti le buste paga dei propri dipendenti.

Dal 1° luglio del 2018, ai sensi degli art. 911 e ss. della L. 205 del 25 dicembre 2017, il pagamento della retribuzione potrà avvenire soltanto mediante metodi di pagamento tracciabili. Il datore di lavoro potrà versare le retribuzioni con bonifico bancario, con strumenti di pagamento elettronico, con assegno bancario o circolare consegnato al lavoratore, oppure con pagamento in contanti direttamente in banca o alla posta, solo se il datore di lavoro ha aperto un c/c di tesoreria con mandato di pagamento.

La norma stabilisce, inoltre, che la firma apposta dal dipendente sul prospetto paga non potrà costituire prova dell’avvenuto pagamento dello stipendio. Detta prescrizione è un ulteriore chiarimento a ciò che la giurisprudenza di legittimità aveva già più volte affermato e cioè che la sottoscrizione “per quietanza” o “per ricevuta”, apposta dal lavoratore alla busta paga, non implica, di per sé l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, e pertanto non è da ritenersi prova di tale pagamento (si veda in tal senso la sentenza della Corte di Cassazione n. 9294 del 2011).

Il divieto di retribuire in contanti i propri dipendenti opererà per tutti i rapporti di lavoro subordinato indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto. Nessuna esclusione alla disposizione normativa può essere effettuata in relazione alla brevità del rapporto di lavoro, come, ad esempio, per quanto attiene ai contratti subordinati a tempo determinato o intermittenti, ovvero per i rapporti di lavoro autonomo occasionali, previsti dall’art. 2222 del c.c.; infatti, anche per detti casi, bisognerà seguire le indicazioni fornite dal legislatore in merito ai mezzi di pagamento tracciati, per le prestazioni fornite. Viceversa, sempre per espressa previsione della norma, il divieto di pagamento della retribuzione in contanti non si applicherà alla Pubbliche Amministrazioni ed ai rapporti di lavoro domestici. Si consiglia

Al fine di far rispettare l’obbligo da tutti i soggetti indicati dalla norma la legge ha previsto che i trasgressori saranno puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000,00 a 5.000,00 euro.

La finalità del provvedimento attiene ad una maggiore tutela dei diritti dei lavoratori, cercando di limitare e ridurre la prassi dei datori di lavoro di corrispondere ai propri dipendenti uno stipendio inferiore ai limiti fissati dalla contrattazione collettiva, in modo da tutelare il dipendente che riceva importi non corrispondenti a quanto scritto in busta paga, nonché al fine di contrastare il fenomeno dell’economia sommersa attraverso il pagamento delle retribuzioni con modalità tracciabili.

Avv. Luca Gencarelli

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[#SpecialeComics2018] Intervista esclusiva a Gianluca Gallo

Come ogni anno, ormai di consuetudine, si tiene il Cosenza Comics and Games. Quest’anno, nelle date 20-21-22 Aprile, la fiera del fumetto bruzia è tornata sempre più piena di eventi, giochi, cosplay e tanto altro.


Durante la manifestazione abbiamo incontrato Gianluca Gallo, disegnatore cosentino amatissimo a livello nazionale, che ci ha rilasciato un’interessante intervista.

Chi è Gianluca Gallo?

Bella domanda! Gianluca Gallo è un ragazzo di Cosenza, di ormai 30 anni, che si è trovato a fare l’illustratore quasi per caso.

Come sei entrato nel mondo del disegno?

Prima ero un musicista, ho sempre suonato e lavorato nella musica in generale, poi l’anno scorso ho ripreso a disegnare, dopo aver accantonato per qualche anno, e ho aperto una pagina Facebook. Avevo messo dei disegni su internet e sembrava che piacessero molto, tante persone mi hanno spronato a creare una pagina e un po’ forzatamente l’ho fatta, anche perché sono una persona molto riservata e fare una pagina non mi entusiasmava tantissimo. Dopo averla creata, però, in tre settimane ha raggiunto i ventimila followers e da qui è partito tutto.

Qual è stato il passaggio che ti ha fatto approdare dalla musica al disegno?

In realtà ero in un periodo particolare della mia vita. Ho sempre disegnato da quando ero piccolo, questa è stata la mia prima forma di espressione in assoluto. Poi crescendo è arrivata la musica e ho relegato il disegno a una sfera molto personale e intima. In quel periodo, oltre a essere in una fase molto molto particolare, volevo un po’ riprendere perché era un pallino fisso: avevo tante cose da dire e mi piaceva dirle con il disegno, per andare ancora di più nel profondo. Senza nemmeno pensarci ho preso la matita e ho iniziato a disegnare e da lì è iniziato naturalmente tutto quello che è successo.

Il tuo primo approccio con il mondo del fumetto?

Da piccolo leggevo tantissimi fumetti, spaziavo in qualsiasi cosa: da Topolino a Dylan Dog, Tex, fino alle robe che andavano in quel tempo, che avevano i cugini più grandi. Mi è piaciuto sempre di tutto, roba tedesca, anche un po’ più underground.
Sono sempre stato affascinato dal disegno perché mio padre è un grande appassionato, quindi è stata una contaminazione che ho avuto in giro per casa. Mi piaceva veramente tanto. Poi crescendo, l’interesse un è andato scemando, ad esempio ora non so cosa gira, cosa viene pubblicato, chi li fa. Sono un po’ fuori da questo mondo. Però grazie a quello che mi è capitato sono rientrato a gamba tesa in questa realtà, quasi per forza, e anche partecipando a festival e fiere mi sto un po’ aggiornando.

Nelle tue tavole fai molti riferimenti alla musica indie. Com’è nato l’amore verso questo genere musicale?

Ci ho sempre sguazzato dentro. Suonando, organizzando concerti, lavorando negli staff musicali. E’ sempre stato il mio mondo quello della musica e soprattutto quello della musica indipendente.
Il legame con le tavole è stato naturale, perché quando disegno ascolto sempre musica; quando devo dare un titolo a un’illustrazione, magari quella cosa che ho disegnato mi ricorda una frase di una canzone, oppure è la canzone che sto ascoltando che mi ispira. Quindi è un legame indissolubile e naturale. Amo la musica, è sempre stata il mio mondo, è sempre stata il mio lavoro e la mia passione, quindi è un gioco di rimandi e non mi faccio domande.

Dove credi che ti porterà l’arte?

Sono successe tantissime cose da quando ho creato la pagina, compreso il libro. A Natale, infatti, ho pubblicato la mia prima raccolta di illustrazioni per Rizzoli, che è una cosa che non avrei mai immaginato di poter fare, soprattutto in un periodo così breve: la casa editrice mi ha scritto quando la pagina era attiva appena da quattro mesi. Stavo morendo quando è successo questa cosa. Poi il libro è andato bene perché è uscito prima di Natale, sono stato quarto su Amazon, primo su IBS, insomma ha avuto un po’ di successo. Ci sono anche tutti questi effetti collaterali di persone che si fanno i tatuaggi delle illustrazioni, perché se li sentono molto legati.
Insomma, spero che mi porti sempre verso soddisfazioni. Tutto questo è principalmente una soddisfazione personale, perché mi piace molto che tante persone usino quello che disegno come tramite per esprimere qualcosa che non riescono a dire loro. Spero, prima di tutto, che continui tutto su questa scia, poi ho scoperto il piacere immenso di pubblicare libri, è una cosa che farei per sempre e in tantissime altre forme. Mi piacerebbe fare un libro che unisca narrativa e illustrazione, quindi un racconto e illustrazioni che lo spiegano.
Mi hanno chiesto anche di disegnare delle grapich novel sceneggiate da altri, quindi si aprono degli scenari che non posso neanche tanto immaginare.

                                                                                                                             Paolo Gabriele De Luca

[#SpecialeComics2018] Intervista a Dario Moccia

Abbiamo avuto il piacere di reincontrare al Cosenza Comics & Games 2018 Dario Moccia, youtuber innamorato del Giappone.

Ci ha parlato dei suoi progetti e ci ha espresso il suo pensiero sull’animazione del Sol Levante. Buona Visione!

(A questo LINK l’intervista dello scorso anno a Dario Moccia)

 

 

Intervista a cura di Miriam \^^my^^/ Caruso
Riprese e Montaggio a Cura di Daniel MrInk Ferullo

WhatsApp: il valore legale dei messaggi nel processo civile e penale.

WhatsApp è ormai divenuta l’applicazione di messaggistica gratuita più diffusa al mondo. Con la diffusione delle nuove tecnologie ormai chiunque conosce e utilizza questo strumento, che permette agli utenti di inviare e ricevere messaggi, scritti e vocali, in maniera immediata. La questione del valore legale dei messaggi spediti e ricevuti per il tramite di WhatsApp è, ormai, divenuta di grande attualità. Il tema è da considerarsi particolarmente delicato, considerato il numero elevato di messaggi che si inviano o ricevono e, soprattutto, la leggerezza con cui spesso si scrivono o registrano. La giurisprudenza di merito e di legittimità, sia in materia civile che penale, ha affrontato il tema cercando di dirimere le questioni emergenti. Una serie di sentenze, infatti, risulteranno utili per approfondire la questione e per meglio comprendere se le conversazioni contenute su WhatsApp possono avere valore di prova in un processo civile o penale. Il nostro Codice Civile all’art. 2712 prevede che le riproduzioni meccaniche, fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Ed inoltre, l’art. 2719 c.c. dispone che le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero se non è espressamente disconosciuta. Riportandosi a tali disposizioni, la Cassazione aveva già riconosciuto pieno valore probatorio a SMS e MMS, ritenuti “elementi di prova” integrabili con altri elementi anche in caso di contestazione (Cass. n. 9884/2005), chiarendo peraltro che in caso di disconoscimento della “fedeltà” del documento all’originale, rientrerebbe nei poteri del Giudice accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. n. 866/2000). Tali disposizioni possono essere applicate ai messaggi WhatsApp in quanto gli stessi costituiscono documenti informatici, equiparati ai documenti tradizionali a tutti gli effetti. La trascrizione delle conversazioni WhatsApp è utilizzabile ai fini probatori ma è condizionata dall’acquisizione del supporto, telematico o figurativo, contenente la menzionata registrazione. Infatti, la trascrizione non è altro che una riproduzione del contenuto della principale prova della quale, pertanto, devono essere controllate l’attendibilità, la veridicità e la paternità mediante l’esame diretto del supporto (Cass. n. 49016/2017). Secondo l’insegnamento della Corte di legittimità, infatti, i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. e, di conseguenza, la relativa attività acquisitiva non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche (Cass. n. 1822/2018). Ai messaggi rinvenuti in un telefono sottoposto a sequestro non si applica, dunque, la disciplina prevista dall’articolo 254 c.p.p. sul sequestro di corrispondenza, in quanto la nozione di corrispondenza “implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito” (Cass. n. 928/2015). Non è configurabile neppure un’attività di intercettazione, che postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, mentre nel caso del messaggio WhatsApp ci si limita ad acquisire ex post il dato conservato in memoria. Si potrà, dunque, concludere che, con l’osservanza delle procedure previste, i messaggi di WhatsApp e le relative conversazioni contenute nelle chat, salvate nella memoria del telefonino, potranno avere valore probatorio in un processo, sia civile che penale. Infatti, con il deposito nelle modalità prescritte, l’apparecchio cellulare o il supporto informatico potranno essere sottoposti alla perizia di un tecnico nominato dal Giudice che dovrà verificare che il testo non abbia subito alterazioni. Per conferire maggiore valore probatorio ai messaggi e superare qualsiasi possibile contestazione, sarà utile munirsi di una relazione tecnica di un consulente informatico e di una copia conforme ed autenticata dei messaggi WhatsApp a uso legale, da depositare in giudizio. Sarà necessario procurarsi, inoltre, un’attestazione di conformità delle trascrizioni alle conversazioni originali presenti sul supporto informatico esibito, da parte di un notaio o altro pubblico ufficiale.

Avv. Boellis

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