Archivi categoria: Cultura&Spettacolo

Ridge e Brooke a Cosenza per inaugurare un punto vendida

Venerdì 22 febbraio arriveranno a Cosenza Ridge (Ronn Moss) e  Brooke (Katherine Kelly Lang), i due celebri attori della soap opera Beautiful sono stati scelti  come ospiti d’eccezione per l’inaugurazione di una boutique nel centro della città che si svolgerà a partire dalle ore 16,30.

L’iniziativa rientra nell’ambito di un progetto di franchising che prevede l’apertura di ulteriori punti vendita in Italia e all’estero. Venerdì oltre al il taglio del nastro da parte del Sindaco di Cosenza Mario Occhiuto si svolgerà anche la premiazione dei due attori americani che riceveranno un prezioso omaggio da parte di Sergio Mazzuca e Santo Naccarato, titolari della gioielleria Scintille di Cosenza.

Ad aprire il nuovo punto vendita Impero Couture è l’imprenditore cosentino Natalino Bosco che dalla sua parte ha una lunga esperienza nel settore dell’abbigliamento.

Falso Movimento XXI.2012/2013: NO di Pablo Larraìn

Riprendono col XXI film della stagione 2012/2013 gli appuntamenti del martedì di Falso Movimento con un’opera importante, NO di Pablo Larraìn, che dopo una calorosa accoglienza alla 65° edizione del Festival di Cannes, dove si è aggiudicato il premio della Quinzaine des Réalisateurs, e una candidatura agli Oscar 2013 come Miglior Film Straniero, è stato recentemente acquisito dalla Sony. In Italia i diritti per la distribuzione sono stati acquistati dalla Bolero Film. Falso Movimento proporrà invece la versione originale sottotitolata in italiano martedì 19 febbraio alle ore 20.30.

1988. Il dittatore cileno Augusto Pinochet è costretto a cedere alle pressioni internazionali e a sottoporre a referendum popolare il proprio incarico di Presidente (ottenuto grazie al colpo di stato contro il governo democraticamente eletto e guidato da Salvador Allende). I cileni debbono decidere se affidargli o meno altri 8 anni di potere. Per la prima volta da anni anche i partiti di opposizione hanno accesso quotidiano al mezzo televisivo in uno spazio della durata di 15 minuti. Pur nella convinzione di avere scarse probabilità di successo il fronte del NO si mobilita e affida la campagna a un giovane pubblicitario anticonformista: René Saavedra.
Pablo Larraìn, che il pubblico italiano conosce per i suoi precedenti Tony Manero e Post Mortem, affronta in modo diretto una delle svolte nodali della storia cilena recente. L’aggettivo è quanto mai appropriato perché la scelta radicale di utilizzare una telecamera dell’epoca offre al film una dimensione del tutto insolita. Il passaggio dal materiale di repertorio (dichiarazioni di Pinochet e cerimonie che lo vedono presente così come interventi dei rappresentanti dell’opposizione dell’epoca) alla ricostruzione cinematografica diviene così inavvertibile. Il pubblico in sala si trova nella situazione di chi sta compiendo una full immersion nel passato.
Tutto ciò all’interno di una ricostruzione che mostra, attraverso il personaggio di Saavedra, come la repressione fosse stata forte e come il regime fosse convinto che fosse sufficiente accusare qualsiasi avversario di ‘comunismo’ per poter vincere. Non manca però anche di sottolineare come tra i sostenitori del NO non fossero pochi quelli che non avevano compreso quanto fosse indispensabile impostare una campagna di comunicazione che andasse oltre la riproposizione delle pur gravissime colpe del dittatore per approdare a una proposta che parlasse di vita, di gioia, di speranza nel futuro e non di morte. E’ in questo ambito che il personaggio impersonato con grande understatement da Gael Garcia Bernal si trova a muoversi consapevole, inoltre, della difficoltà di contribuire alla riuscita di un fondamentale cambiamento del proprio Paese partendo dalle proprie basi di eccellente imbonitore. Pronto, una volta ottenuto l’esito sperato, a tornare a promuovere telenovelas.

 

Il mese dell’eros continua con la mostra di Mario Polillo

COSENZA – Continua la rassegna sull’Eros targata Alt-Art con la personale di Mario Polillo Amor profano, presentata al pubblico lo scorso sabato 16 febbraio, rimarrà visitabile fino al 28 febbraio.

Dal pudore di Maurizio Romani si passa all’audacia di Mario Polillo che ritrae le carnose labbra e il voluttuoso corpo di una musa d’eccezione la seducente modella russa Margarita Khasanova.

I dipinti di Polillo sembrano partire dalla costruzione di particolari set fotografici dai quali si delinea una forma di erotismo dolce, perché per quanto provocante la sua è una donna romantica, regina indiscussa della passione, cosciente della bellezza di essere madre ma anche di essere una donna padrona dei suoi desideri e dei suoi istinti che vive l’amore a pieno, godendo liberamente di tutti i suoi trionfi post-orgasmici.

Una donna che accetta consapevolmente di essere preda di qualcosa che spesso non riesce a dominare la passione, le emozioni travolgenti e violente che divampano senza freni per poi estinguersi dopo aver divorato ciò che le aveva alimentate, forze straordinarie che le riempiono la vita, che muovono ogni cosa, che nascono dalla bellezza.

Il concetto di erotismo si è modificato nel corso degli anni, ogni secolo lo ha guardato con uno sguardo diverso, pur essendo sempre presente in ogni forma dell’esistenza umana, da qualche tempo sembra aver perso di importanza perché eclissato dalla violenza ma Mario Polillo ritorna alla ricerca del piacere puro della bellezza a cui guarda senza offendere.

Il corpo femminile è il centro del racconto delle sue opere, sensualità, fisicità ed erotismo ritornano continuamente, creando una perfetta armonia tra il piacere vissuto e il piacere espresso senza inibizioni.

La donna viene raffigurata come la sola che alimenta il sentimento del sublime, riscoprendosi simbolo per eccellenza della natura che crea e distrugge, che seduce e annienta, venerata come una nuova dea di una più libera cultura delle grandi passioni, diventa la personificazione della tentazione che porta alla celebrazione assoluta della seduzione artistica e della seduzione carnale.

Gaia Santolla

Sanremo 2013, Vince Marco Mengoni Tripletta Per Elio E Le Storie Tese

 

L’essenziale di Marco Mengoni vince la 63esima edizione del Festival di Sanremo. La canzone rappresenterà l’Italia all’Eurovision Song Contest 2013, la manifestazione canora in programma a Malmo, in Svezia dal 14 al 18 maggio. L’ufficialità della scelta di Mengoni come rappresentante del nostro Paese è stata data da Fabio Fazio durante la serata finale del Festival di Sanremo, nella quale Marco ha cantato, vincendo il Festival, il brano L’essenziale.

Ma sono stati Elio e le storie tese, protagonisti indiscussi del 63esimo Festival di Sanremo, che con il premio della Critica Mia Martini e quello per il migliore arrangiamento con La canzone monotona ha convinto il pubblico che l’ha portata in finale insieme a Se si potesse non morire dei Modà.

Le cinque “W” del Teatro dell’Acquario

Cosenza, 1975. Due associazioni culturali, “Play Centro” e “Collettivo Teatrale di Sperimentazione”, decidono che è arrivato il momento di estendere la loro esperienza socio- culturale ad un circolo di interessati più ampio, operando quindi una sorta di “fusione”. Nasce il Centro RAT (Ricerche Audiovisive e Teatrali) che il 31 agosto del 1976 si trasformerà in Cooperativa. Il successo è immediato, più che una semplice cooperativa o associazione, infatti, si evolve immediatamente in una sorta di movimento d’avanguardia a caratteri internazionali. Riescono a contattare il Living Theatre (famosissima compagnia teatrale sperimentale, di accentuata ideologia anarco-pacifista, fondata a New York nel 1947 e tutt’ora attiva, n.d.r.) arriva a  Cosenza il folto gruppo degli attori guidati come sempre da  Judith Malina e Julian Beck; insieme occupano l’ex sede del Municipio con l’intento di trasformarlo nel Centro Culturale Polivalente (Progetto di Contaminazione Urbana). Geniali, poiché a distanza di trent’anni  l’ex sede del Municipio di Cosenza è ora nota con il nome di Casa delle Culture. Intanto  nella cooperativa si sente il bisogno di stabilità, gli attori del Centro RAT iniziano a capire l’importanza del coinvolgimento popolare,  la loro evoluzione continua sulla strada di un “teatro di comunità” e si inizia a cercare uno spazio adatto a quest’idea. In quegli anni andava molto di moda il concetto di Circo&Teatro e la Cooperativa acquista un tendone da circo; si rinomineranno “La Tenda di Giangurgolo”. Il carattere circense della sede inevitabilmente modifica la struttura stessa degli spettacoli rappresentati e il coinvolgimento è massimo come i consensi. Fin dal primo anno, infatti, la Cooperativa beneficia dei contributi Ministeriali. Nel 1979, a seguito di una tromba d’aria, la Tenda viene distrutta e gli attori sono nuovamente senza una sede. Il futuro degli artisti li vede immersi in una lunga tournèe di due anni in giro per l’Italia fino a quando nel 1981 viene inaugurato il Teatro dell’Acquario con sede nell’attuale stabile di via Galluppi, al tempo in degrado e malmesso , completamente restaurato a spese (e fatica) proprie. Il resto della storia è semplicemente riassumibile in Trentadue anni di stagioni teatrali di successo e in un susseguirsi di presenze che hanno fatto la storia del teatro  contemporaneo italiano ed internazionale .

I recenti avvenimenti che sembra stiano portando alla definitiva chiusura del Teatro dell’Acquario, sono la conseguenza di una richiesta d’aiuto poco ascoltata. Il 26 aprile del 1995 venne resa operativa la legge Regionale N. 27 che determinava il riconoscimento del centro RAT. Undici articoli che esplicano i diritti e i doveri del centro. La legge venne scritta proprio dai soci fondatori della Cooperativa per garantire una tutela dei loro sforzi fino a quel momento inesistente. Bisognerà aspettare la Legge Regionale N.3 del 2004 (che regolamenta il teatro in Calabria) per un effettivo riconoscimento dei diritti e doveri.  Il 5 ottobre 2011 viene inviato all’attenzione del Dipartimento 11 (settore cultura) della Regione Calabria, un resoconto dettagliato sull’assegnazione dei contributi per il centro RAT chiedendo esplicitamente di fare attenzione ai tagli sull’erogazione dei finanziamenti della legge N.3 del 2004 negli anni che vanno dal 2008 al 2011.

“Il dato oggettivamente sconcertante è che per la stagione 2010 il Centro Rat, nonostante abbia prodotto un volume costante di attività, abbia subito un taglio del 45% dei fondi regionali e lo abbia, peggio, scoperto a settembre 2011 […] Ciò ha comportato un indebitamento insostenibile al quale necessariamente va trovato un rimedio nell’assegnazione dei finanziamenti del 2011 considerando il recupero di quanto sottratto per il 2010 […] in caso contrario, una simile riduzione farà collassare le attività in corso con tutto ciò che ne consegue”, scrive Carlo Antonante Bugliari in qualità di Amministratore delegato della Cooperativa Centro Rat nel resoconto inviato al settore cultura della Regione Calabria nell’ottobre 2011.

Dal primo febbraio 2013, data in cui si è resa pubblica la criticità del Teatro dell’Acquario ad oggi, sono stati inviati migliaia di testimonianze di solidarietà, stima e simpatia da parte di tutto il teatro nazionale  ed intenazionale e da i frequentatori /spettatori e semplici cittadini. A grandi linee, questo è ciò che è successo in queste ultime settimane. Gli enti si stanno muovendo e con la paura che sia forse troppo tardi, domandiamo: ”Cosa serve per risolvere questa situazione?” a rispondere è Dora Ricca, socia fondatrice del Centro Rat: “ basta solo un po’ di buona volontà ed una scelta politica chiare giusta e lungimirante.

Al di la delle semplicistiche frasi da opinionista è doveroso ricordare che salvare la cultura e le arti è l’ultimo baluardo in difesa dell’annientamento sociale che questa crisi globale sta provocando.

Il teatro sta tuttora vivendo la sua crisi più profonda nel luogo in cui è nato, la Grecia. Ed è proprio da li che arriva direttamente a noi, sua antica colonia e portavoce dei suoi magnifici retaggi, la testimonianza di  Panos Skourouliakos, attore, regista e direttore del Teatro del Pireo che ricorda la valenza vitale della scena teatrale: “La gente viene a teatro per addolcire un istante della vita e trovare coraggio. Sotto l’occupazione tedesca (1940-44), malgrado la miseria e la censura, i teatri erano pieni. Sotto la giunta dei Colonnelli (1967-74) pure. Oggi, anche se i negozi, le imprese, le fabbriche chiudono, dei luoghi nuovi, nuovi crogioli del teatro nascono […]L’impoverimento è generale: i teatri sovvenzionati si associano al privato per sopravvivere, in provincia non ci sono più teatri, ma gli attori reagiscono, come Ulisse, fanno prova di “meticcio”, d’intelligenza e astuzia. Diventano produttori, formano delle cooperative, definiscono il teatro della crisi. Cercano luoghi alternativi, recitano nei bar dove la consumazione diventa il biglietto, ma anche negli atelier, nelle boutiques, dalla panetteria alla galleria d’arte, passando per i garage, i depositi e le entrate dei palazzi. Le compagnie collaborano e condividono i magri incassi… Per quelli che preferiscono rimanere a casa, la crisi ci ha fatto inventare “il teatro a domicilio”.

Da sempre il teatro è stato paragonato ad un organismo vivente in costante evoluzione ed è questa la sua peculiarità, la sua bellezza, la sua forza. L’estrema capacità di adattarsi farà abbattere ogni muro anche perché, parafrasando una splendida pubblicità del Teatro dell’Acquario: “ ci sono, e ci saranno sempre sei buoni motivi per andare all’Acquario”.

Oscar Mari

Brunori Sas canta l’Amore all’Unical

 “Per un’ora d’amore” è il titolo dello spettacolo musicale che Brunori Sas, compositore, cantautore e coproduttore discografico ha regalato nella serata di San Valentino ai suoi fans. Mentre in tv andava in onda il Festival di Sanremo, all’interno del Piccolo Teatro dell’Unical, il cantante che proviene dal cementificio di famiglia di Guardia Piemontese allietava il suo pubblico con un evento fatto di musica e cabaret. Soldout per l’evento organizzato dall’Associazione culturale “Il Filo di Sophia”, con lo scopo di diffondere la cultura in maniera entusiasta, non solo all’interno del campus universitario ma anche nella città di Cosenza. Durante la serata l’istrionico cantante, accompagnato da Simona Marrazzo (cori e percussioni), Dario della Rossa (piano e tastiere), Mirko Onofrio (sax e fiati) e Massimo Palermo (batteria) ha proposto ad un pubblico infervorato un percorso musicale innovativo: dieci cover che parlano dell’amore che si vive dai sette ai settanta anni. Sul palco Brunori ha creato un’atmosfera intima, molto familiare; presenti anche degli attori che ascoltavano la sua musica comodamente seduti su alcune poltrone di un salotto. La tabellina del sette e l’amore hanno fatto da sfondo all’esibizione: “ …uso i numeri per mettere alla prova i filosofi, parlo dell’amore e di tutte le sue fasi per punzecchiare le coppie di innamorati in sala e sollecitarli alla riflessione”, così l’ironico cantante giustifica i motivi della sua scelta. Inizia il viaggio musicale nei meandri dell’amore. Presenta i sette anni intonando così: “Kiss me, kiss me Licia, certo il loro cuore palpita d’amore, amore sì per te”. Il pubblico sorpreso accompagna la performance battendo le mani e canticchiando. Sette più sette uguale a quattordici. L’amore si fa romantico, Brunori interpreta “Questo piccolo grande amore” di Claudio Baglioni. Tra un pezzo e l’altro commenta i brani scelti. Definisce la sua trovata una “Nagasaki della Musica” per la varietà di artisti e generi musicali arrangiati ed interpretati dalla sua band. A ventuno anni l’amore è chimica ma anche inganno, è “Male di miele” degli Afterhours. Grande interpretazione rock da parte di Brunori. Più passa il tempo e più l’amore cambia forma e si confonde con il malumore. Non poteva mancare sul palco il Vasco nazionale con: “La nostra relazione”. “Perché no? Perché no? Perché no? Perché no? Scusi lei mi ama o no? Non lo so però ci sto!” è la strofa di una canzone di Lucio Battisti che racconta l’amore consapevole dei trentacinque anni. Poi a quarantadue anni entra in scena la musica ricercata di Franco Battiato. Nel suo brano, “L’animale” l’amore diventa struggente. “Ma l’animale che mi porto dentro non mi fa vivere felice mai si prende tutto anche il caffè  mi rende schiavo delle mie passioni e non si arrende mai e non sa attendere e l’ animale che mi porto dentro vuole te “. A questo punto della serata Brunori coinvolge il suo pubblico in maniera ancora più diretta. Prima dell’entrata in sala agli spettatori viene consegnato un bigliettino con su scritto una frase d’amore a sorpresa: strofe di canzoni interpretate durante la serata. Brunori è un romantico. Lo dimostrano le sue attenzioni per la compagna Simona Marrazzo, sua corista, che rende protagonista facendole cantare per i quarantanove anni la canzone di Franco Califano: “Un’ estate fa”. I cinquantasei anni vengono rappresentati da un gruppo punk italiano i CCPP con la canzone “Amandoti”. Ci avviciniamo all’amore più maturo, quello dei ricordi e dei rimpianti.  A sessantatre anni l’amore diventa solitudine: “ha l’aspetto trasognato malinconico ed assente non si sa da dove vien ne dove và chi mai sarà quell’uomo in frak”. Brunori esalta la bravura di Domenico Modugno.  Nell’ultima tappa del cuore, il cantante diventa serio, legge un passo del “Seduttore” di Kierkegaard anticipando una canzone-poesia del cantautore belga di lingua francese, amato da suo zio: Jacques Brel. L’amore adulto del tradimento e del ripensamento. L’atmosfera diventa magica quando con maestria Brunori canta: “La chansons des vieux amants”. Così si chiude la prima parte dello spettacolo. Il pubblico ancora desideroso acclama Brunori e la sua band. Ha voglia di sentire alcuni pezzi d’amore del suo repertorio. Per i settantasette anni Brunori canta con passione :“Una domenica notte”. Gli ottantaquattro anni vengono esaltati da un altro suo pezzo: “Lei, lui, Firenze”. In chiusura il suo più grande successo. Per i novanta anni il pubblico canta a squarciagola insieme a  lui “Guardia 82”. Brunori lascia la scena riproponendo un’immagine di sé divertente: vecchio, gestore di un ristorante di pesce, che si diletta cantando ai matrimoni il pezzo che lo ha lanciato. Grande successo per l’Associazione cosentina, sostenuta dalla rivista Fata Morgana, da Libero teatro, dalla compagnia teatrale Rosso Simona. Il gruppo ci da’ l’arrivederci anticipando sul palco il prossimo evento. Il 27 marzo infatti presso il cantiere 31 a Cosenza ci sarà la presentazione del libro di Emidio Clementi: La ragione delle mani. Si tratterà di uno spettacolo di letture, musicate dall’amico dell’autore Corrado Nuccini (dei Giardini di Mirò).

                                                                                                                           Rossana Muraca

Falso Movimento: CROCEVIA PER L’INFERNO di John McNaughton/a cura di F.F.Guzzi

Il nono appuntamento de ‘La Versione’, in programma domenica 17 febbraio alle ore 20.30, pone all’attenzione del pubblico di ‘Falso movimento’, una pellicola poco conosciuta, del regista John McNaughton(che più ricorderanno per la regia di “Henry, pioggia di sangue” in cui indagava, in modo davvero sorprendente e sconvolgente, il tema della violenza).
Con “Crocevia per l’inferno” (“Normal life” nel titolo originale), McNaugthon indaga invece la follia; quella vera e autentica, della instabile Pam, e quella indiretta e riflessa di Chris, poliziotto dai sani principi che affascinato dalla bellezza unica e travolgente di Pam, se ne innamora fino a sposarla.
Il film si sviluppa in due tronconi, in due fasi ben distinte e separate. Nella prima (breve, di trenta minuti), viene descritto l’incontro dei due, l’innamoramento (di Chris), il progetto di vita, il matrimonio. Nella seconda c’è la virata verso il tema che interessa al regista, ovvero la discesa negli inferi della follia, la quale tutto trascina e travolge dietro di sé, secondo uno schema/archetipo in cui il ‘più forte’ è sempre il folle. L’instabilità di Pam, infatti – a cui si associano la dipendenza dall’alcol e dalla droga – farà vacillare tutte le certezze del marito Chris, il quale, pur di tenere stretta a sé l’amata, rimetterà in discussione i suoi principi, precipitando in un’odissea di amore/disperazione, rapine, omicidi, in una parola: l’inferno.
La tematica non è nuova. Penso a Natural born killer (di Oliver Stone), a Una vita al massimo (di Tony Scott), ma soprattutto al capolavoro di Terrence Malick, La rabbia giovane; tutte pellicole in cui viene trattata la follia omicida vissuta in coppia. Crocevia per l’inferno, rispetto ai titoli citati, è però più asciutto ed essenziale; non c’è la spettacolarizzazione della violenza e della follia, non c’è un sovraccarico narrativo; e sta proprio in queste (mancate) componenti, la sua intrinseca forza. Senza fronzoli e capriole stilistiche, McNaughton consegna allo spettatore un quadro crudo, spietato, desolante e terribilmente vero, di una giovane e bella coppia, all’interno della quale l’elemento instabile e analogico spariglia le carte (la nevrosi scaccia la virtù), facendo tabula rasa dell’amore, della gioia, delle emozioni vere a cui aspira l’altro, il cui amore profondo – quando non riesce ad accettare la perdita o l’impossibilità di avere la persona amata – diventa un’avventura nella pervicace follia (anche Orfeo, il genio che commuoveva la natura con la bellezza del suo canto cercò di salvare Euridice dall’inferno, ma fallì per una debolezza finale; e la sua vita di predestinato all’ammirazione di tutti, proseguì verso una nuova caduta agli inferi: dopo la morte di Euridice prese ad odiare le donne ed il matrimonio e venne ucciso da donne Tracie che vollero punirlo per l’offesa).
Il film proposto prosegue nel percorso de ‘La Versione’ che dà spazio alla provincia americana (v. Lupo solitario) – Normal life è appunto un magnifico esempio di spaccato della provincia americana – alla follia (Drive, The Hurt Locker, Two lovers, e ancora, Lupo Solitario), alla alienazione (v. The Brown Bunny, Shame) e, più in generale, ad un approccio stilistico sempre essenziale, crudo, radicale e inesorabilmente (e, forse) fin troppo vero.
Crocevia per l’Inferno sembra un film minore, sconosciuto e poco acclamato, eppure è di una infinita potenza nel descrivere la lotta tra uomo e donna, bene e male, apollineo e dionisiaco, sogni di una vita migliore, fallimento e caduta in un mondo che è senza redenzione nè vincitori.

Federico Francesco Guzzi

Il 21 febbraio la PFM al Teatro “Rendano” canta De Andrè. Ancora un sold out

Cosenza – Ancora un sold out al Teatro “Rendano” per un evento organizzato dalla “Bonanno Entertainment”.

Il “Rendano” si appresta a vivere, all’insegna del pienone, una serata speciale giovedì 21 febbraio, alle ore 21,00, per il concerto che la PFM terrà a Cosenza nell’ambito del tour 2013 dedicato al grande cantautore Fabrizio De Andrè.

Il 1979 fu l’anno dello storico tour targato Fabrizio De André-PFM. In omaggio a Faber, la PFM ha deciso di eseguire, con gli arrangiamenti originali, le canzoni più significative di quell’evento che sono poi quelle contenute anche nel doppio album di quel fortunato tour : da “Via del Campo” ad  “Avventura a Durango”, da “Sally” a “Rimini” oltre ai classici “Bocca di Rosa”, “Il Pescatore”, “la “Guerra di Piero”, ecc.

Nella seconda parte del concerto cosentino, spazio ai più grandi successi della band, la cui carriera è stata sorretta da una ricerca costante, caratterizzata da quella poliedricità dei linguaggi che ha spinto la PFM (oggi composta da Franz Di Cioccio, Patrick Djivas e da Franco Mussida) a maturare uno stile inconfondibile, capace di far apprezzare la musica italiana in campo internazionale, al di là della sua tradizione melodica.

 

 

L’incontro con De Andrè avvenne durante un concerto in Sardegna dove la PFM ritrovò quell’amico con il quale aveva già collaborato nell’album “La buona novella”. De André rimase colpito dalla loro capacità musicale dal vivo, perciò, proprio in quella occasione, Franz Di Cioccio gli propose di fare una tournée insieme. Per la prima volta un cantautore ed un gruppo si unirono per dare vita ad un progetto live.

Commissione cultura consegna riconoscimento ad Eugenio Carbone, lo stilista cosentino che vestì Mina

Cosenza – Quando in televisione passano le immagini conservate nelle teche RAI, della cantante Mina che duetta con Totò in un vecchio sketch di “Studio uno”, storica trasmissione della tv in bianco e nero, nessuno ha mai pensato che l’elegante abito nero della grande Mina potesse essere una creazione di uno stilista cosentino, eppure è proprio così.

 

Eugenio Carbone, stilista e modellista di particolare talento cosentino (originario di Mendicino), ha lavorato per oltre mezzo secolo nel campo dell’Alta moda femminile con alcuni degli atelier più prestigiosi del panorama nazionale, da Germana Marucelli alle sorelle Fontana, a Renato Balestra. Sono suoi alcuni degli abiti indossati durante gli anni sessanta, dalle cantanti Mina e Katyna Ranieri, moglie quest’ultima del compositore di musiche da film Riz Ortolani, e dall’attrice Rosanna Schiaffino.

La sua storia non è sfuggita alla Commissione cultura di Palazzo dei Bruzi, presieduta da Claudio Nigro che, ieri, ha voluto che l’iniziativa, nel corso della quale è stato tributato allo stilista cosentino l’omaggio della città di Cosenza, si svolgesse al Teatro “Rendano”, alla presenza anche di una delegazione del Comune di Mendicino, guidata dall’Assessore alla cultura Francesca Reda e integrata dal consigliere provinciale Mario Giordano e da Antonio Catalano, uomo di cultura, anch’egli mendicinese e amico d’infanzia di Eugenio Carbone.

Nella buvette del teatro di tradizione cosentino Carbone, che si è soffermato anche a visitare la sartoria del “Rendano”, è stato ricevuto dalla Commissione cultura al gran completo.

Breve introduzione del Presidente Nigro che ha considerato “un onore ospitare in commissione Eugenio Carbone” e poi spazio alla relazione del consigliere Mimmo Frammartino che ne ha ripercorso la figura di artista poliedrico, stilista, ma anche grande pittore. Dopo l’apprendistato, iniziato all’età di 14 anni  in una sartoria del suo paese e dopo averne aperto una tutta sua a Cosenza, dove si recavano le signore della buona borghesia della città, all’età di 30 anni si trasferì a Roma per dolorose vicende familiari, Eugenio Carbone fece l’incontro che gli cambiò la vita, con Germana Marucelli, pioniera dell’Alta moda Italiana che per prima cominciò ad affrancarsi dalla dipendenza italiana dalla moda parigina.
Dal 1982 Eugenio Carbone comincia ad insegnare nelle più importanti scuole di moda, attività che continua ancora oggi. Al periodo trascorso nell’atelier romano della Marucelli risale l’incontro con Mina. Nell’altro atelier della Marucelli, quello di Milano, che era stato trasformato in una sorta di salotto artistico-letterario, frequentato prevalentemente da poeti, Eugenio Carbone conobbe Salvatore Quasimodo, ma da quelle stanze passarono anche Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti, come ha ricordato in commissione cultura anche il Presidente Claudio Nigro. Con Germana Marucelli, Carbone restò fino al 1969, per poi approdare all’atelier delle sorelle Fontana, prima come operaio nella produzione, poi come creatore di modelli per la nota maison nella quale lavorò per oltre  30 anni.
Quando gli tocca prendere la parola, senza rinunciare alla sua indole mite ed appartata, dopo i sinceri ringraziamenti, Eugenio Carbone si mostra riconoscente “per il grande regalo che mi avete fatto. Al termine della mia carriera – sottolinea – dopo aver fatto il sarto, il modellista, lo stilista e l’insegnante di moda, il mio desiderio più grande è proprio quello di trasferire il bagaglio di esperienze che ho accumulato alla giovani generazioni”.che si è arricchita di un nuovo e importante tassello. Lo stilista cosentino ha brevettato un rivoluzionario metodo didattico che innova profondamente gli insegnamenti ancora troppo legati alla tradizione delle scuole di taglio. L’obiettivo di Eugenio Carbone, con il suo metodo di insegnamento esclusivo, ottenuto con la progettazione libera su un manichino appositamente brevettato, è quello di trasferire competenze e capacità alle nuove generazioni, in una sorta di passaggio di testimone. Con vantaggi che vanno dai costi, molto più contenuti, ai tempi di realizzazione che risultano notevolmente più brevi.