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Dirigente di Calabria Verde ai domiciliari per una tangente da 20mila euro

COSENZA – I carabinieri forestali del Reparto Parco Nazionale della Sila, a conclusione di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Castrovillari, due ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari nei confronti di Antonella Caruso, di 53 anni, funzionaria di “Calabria Verde” l’ente in house della Regione Calabria che gestisce il settore della forestazione, e Salvatore Procopio, di 60 anni, agronomo. I due sono accusati di concussione per una tangente da 20 mila euro che sarebbe stata pagata per il rilascio di un’autorizzazione boschiva. Secondo l’accusa, in particolare, Antonella Caruso avrebbe costretto un imprenditore boschivo, Antonio Spadafora, di 35 anni, a consegnare i 20 mila euro per ottenere un importante appalto per un’attività di disboscamento nel territorio di Castrovillari. Procopio, a sua volta, sempre secondo l’accusa, avrebbe fatto da tramite, per la richiesta ed il pagamento della tangente, tra Antonella Caruso e l’imprenditore boschivo.

I carabinieri forestali sono entrati negli uffici di Calabria Verde, in particolare in quelli dei due indagati, per una perquisizione alla ricerca di materiale utile alle indagini. Pronta la presa di posizione della società in house della regione Calabria.

«Erano mesi che la direzione di Calabria Verde non aveva alcun rapporto con la funzionaria arrestata stamattina per concussione». Lo afferma, in una dichiarazione, Aloisio Mariggiò, Commissario di “Calabria verde”. «Come Direzione di Calabria Verde i rapporti con la Caruso si erano interrotti sin dal momento del suo coinvolgimento nell’inchiesta della Procura di Castrovillari sulle false perizie per il disboscamento. Il nostro auspicio, a questo punto, è che le inchieste avviate si concludano consentendo di fare piena luce al più presto su quanto è accaduto, ponendo le basi per l’attuazione del nuovo corso nell’attività di “Calabria verde” per il quale ci stiamo impegnando insieme alla Presidenza della Regione Calabria all’insegna della trasparenza e della legalità».

Missione punitiva a Santa Maria del Cedro, con una cintura al collo costretto a comportarsi come un cane

SANTA MARIA DEL CEDRO (CS) – Due arresti per sequestro di persona e lesioni personali in provincia di Cosenza. In azione i carabinieri della stazione di Santa Maria del Cedro. Vittima un ragazzo residente nella frazione di Marcellina. I fatti risalgono al 18 marzo, quando il giovane si stava recando presso la chiesa di Marcellina per partecipare alla messa domenicale. Una macchina ha iniziato a suonare insistentemente il clacson fino a quando un uomo sulla quarantina è sceso dalla vettura costringendolo con la forza a salire. Impossibilitato a scendere dall’auto, è stato più volte picchiato in volto e sulla testa con schiaffi e pugni. Tragitto che è terminato presso la spiaggia di Santa Maria del Cedro dove l’aguzzino e il suo complice hanno fatto scendere il ragazzo e l’hanno scaraventato sulla sabbia, immobilizzandolo e continuando a picchiarlo. Ultima tappa di questo viaggio dell’orrore piazza Agorà, dove il sequestratore ha stretto con la cinta dei pantaloni il collo del ragazzo e gli ha intimato di comportarsi come un cane, camminando a quattro zampe e abbaiando alle persone che passavano e assistevano attoniti alla scena. Dopo quasi quattro ore, il balordo ha riaccompagnato il ragazzo davanti alla propria abitazione continuando a picchiarlo e minacciandolo di non raccontare nulla di quanto accaduto. E’ cosi è stato: la vittima ha passato intere giornate chiuso dentro casa temendo per la propria incolumità, fino a quando, stanco di avere paura, ha trovato il coraggio di raccontare tutto ai carabinieri. Secondo quanto accertato, il sequestratore ha voluto punire la vittima per presunti danni provocati alla sua proprietà. I due aguzzini, su disposizione del Gip di Paola, sono stati tratti in arresto e posti ai domiciliari.

Amantea, due fratelli ai domiciliari per sfruttamento di migranti (VIDEO)

AMANTEA (CS) – Due fratelli di Amantea sono stati arrestati dai carabinieri in esecuzione di due ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari. Si tratta di Giuseppe e Francesco Arlia Ciommo, di 48 e 41 anni, entrambi accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravati dalla discriminazione razziale. Le ordinanze, disposte dal Gip di Paola Maria Grazia Elia, su richiesta del procuratore capo Pierpaolo Bruni e del sostituto titolare del fascicolo Anna Chiara Fasano, sono state eseguite dai carabinieri della Compagnia di Paola agli ordini del capitano Giordano Tognoni. 

I due uomini sfruttavano rifugiati africani che si trovavano a lavorare nei campi assieme ad altri lavoratori in nero provenienti principalmente dalla Romania e dall’India, ma, incredibilmente, la paga variava in base al colore della pelle. In particolare, gli africani avevano diritto a dieci euro in meno rispetto alla paga dei bianchi: 25 euro contro i 35 corrisposti ai lavoratori non di colore. Caricati su un furgone nei pressi del centro di accoglienza Ninfa Marina di Amantea, completamente estraneo alla vicenda, i braccianti, principalmente rifugiati richiedenti asilo dell’Africa centrale, lavoravano in nero anche dodici ore al giorno insieme a persone, anche queste irregolari, di nazionalità indiana o di etnia rom. Curavano gli ortaggi prodotti all’interno delle serre di questa azienda agricola situata nell’ultimo tratto dalla strada provinciale 257. Le indagini hanno fatto emergere anche le condizioni di lavoro degradanti a cui erano sottoposti i lavoratori, che dormivano in baracche, mangiavano a terra ed erano sottoposti a stretta e severa sorveglianza da parte dei due fratelli arrestati.

L’azienda agricola ed alcuni beni mobili di proprietà degli arrestati sono stati posti sotto sequestro preventivo per un valore complessivo di circa due milioni di euro. Sequestrata anche una somma di circa ottantamila euro in contanti rinvenuta durante la perquisizione effettuata dai militari.

Evade dai domiciliari, fermato in pieno centro a Cosenza

COSENZA – Un arresto ieri nel pieno centro della città bruzia. Gli agenti della questura hanno fermato un giovane, S.D., di 21 anni, evaso dagli arresti domiciliari cui era posto. Nell’ambito dei regolari controlli del territorio, soprattutto nei confronti dei soggetti sottoposti a misure di prevenzione e alla sorveglianza speciale, il personale di una volante ha fermato il 21enne, sottoposto a domiciliari per violazione agli obblighi imposti dalla citata misura di prevenzione, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. In particolare, nella serata di ieri gli agenti hanno notato il giovane che si aggirava in modo furtivo tra le auto in sosta in una delle vie del centro cittadino. Riconosciuto il soggetti, gli agenti gli hanno intimato di fermarsi, ma S.D. si è dato alla fuga, salvo essere bloccato nei pressi di piazza dei Valdesi. L’uomo ha opposto una forte resistenza, urlando, aggredendo violentemente gli operatori di polizia e cercando più volte di afferrare uno di loro per il collo. La reazione del fermato è stata tale da indurre gli agenti a utilizzare un dispositivo di dissuasione ed autodifesa oleoresin capsicum. Dopo essere stato decontaminato S.D. è stato nuovamente sottoposto alla misura della detenzione domiciliare.

Operazione “Stop”, Giuseppe Ferrante ai domiciliari senza braccialetto elettronico

CATANZARO- La Corte di Appello di Catanzaro, accogliendo l’istanza dell’avvocato difensore Francesco Nicoletti, concede gli arresti domiciliari, senza braccialetto elettronico, a Giuseppe Ferrante alias “Antonello il Siciliano”, coinvolto nella maxioperazione antimafia “Stop”. L’uomo era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Castrovillari a 20 (venti) anni di reclusione; pena poi rideterminata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza emessa in data 7 ottobre 2016, a 5 (cinque) anni e 4 (quattro) mesi di reclusione.

I FATTI Giuseppe Ferrante finisce in manette il 19 giugno 2013 nell’ambito del maxiprocedimento “Stop” istruito dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Lo si accusa di aver partecipato ad una associazione per delinquere di stampo ‘ndranghetistico denominata “Acri-Morfò”, ritenuta dagli inquirenti operante nel territorio del Comune di Rossano e comuni viciniori, la quale, in accordo con le organizzazioni mafiose presenti nelle altre province, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà della generalità dei cittadini, era finalizzata al controllo e allo sfruttamento delle risorse economiche della zona, al compimento di delitti contro il patrimonio e contro la persona; con la totale e preventiva accettazione, da parte degli associati, della necessità di compiere azioni delittuose per garantirsi il controllo del territorio e per stroncare, mediante l’uso della violenza, qualunque ingerenza interna o esterna.

L’IPOTESI ASSOCIATIVA L’associazione, secondo il castello accusatorio, avrebbe portato avanti il proprio fine mediante la dotazione e la disponibilità di armi comuni e da guerra; mediante la partecipazione di ciascun associato – attraverso un’articolata distribuzione di compiti e funzioni, nonché la sostanziale fungibilità fra i vari membri – al compimento di una serie di azioni delittuose, quali reati contro la persona a base violenta ed estorsioni generalizzate nel territorio, specie in danno degli imprenditori. Un’associazione che, evidenziavano gli inquirenti, si sarebbe ingerita nell’imprenditoria di tutta l’area della provincia di Cosenza e anche altrove, e in particolare: nel settore della distribuzione di caffè torrefatto e prodotti derivati, nel settore degli appalti di servizi di vigilanza, nella distribuzione di prodotti da forno e di altri generi alimentari, nel noleggio di videogiochi di genere illecito e non, con la costituzione di una serie di imprese che avrebbero, ‘ndranghetisticamente, assunto posizioni  di monopolio, costituite e continuamente finanziate col provento dei crimini organizzati ed eseguiti dall’associazione.

IL TENTATO OMICIDIO DI ANTONIO MANZI Altra contestazione mossa a Giuseppe Ferrante è di aver preso parte al tentato omicidio di Antonio Manzi alias “Tom Tom”. Il tutto in concorso con altri e in esecuzione di una complessiva strategia criminale stragista volta ad assicurare l’egemonia, in tutto il territorio di Rossano, della consorteria ‘ndranghetistica denominata Acri – Morfò. Gli si contesta, inoltre, in concorso morale e materiale anche con altri rimasti ignoti, la detenzione illegale e il porto illegale in luogo pubblico di una pistola calibro 38 di sicura provenienza illecita e di un motociclo Honda 600. Con l’aggravante della connessione teleologica, del numero dei correi pari a più di cinque persone, dell’agevolazione della cosca di ‘ndrangheta denominata Acri-Morfò.

LE ARMI Ferrante è inoltre accusato di avere, in concorso con altri, detenuto e portato illegalmente, in luogo pubblico, armi comuni da sparo (pistole e fucili) e armi da guerra (kalashnikov). Nello specifico: due fucili automatici tipo kalashnikov calibro 7.62 e un fucile da caccia calibro 12. Con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare la cosca di ‘ndrangheta denominata Acri – Morfò essendo l’arma messa a disposizione degli appartenenti alla consorteria al fine di commettere fatti di sangue o comunque azioni violente volte a consolidarne l’egemonia nella Sibaritide.

LA DROGA Tra le contestazioni mosse a Giuseppe Ferrante vi è anche quella di aver detenuto, ai fini di spaccio, complessivi 4,350 Kg di sostanza stupefacente del tipo Marijuana e complessivi 3,350 Kg di sostanza stupefacente del tipo hashish.

IL PROCESSO E L’AFFIEVOLIMENTO DELLA MISURA In primo grado, Giuseppe Ferrante alias “Antonello il Siciliano” viene condannato a 20 anni di reclusione. In riforma di quella sentenza, lo scorso 7 ottobre 2016, la Corte d’Appello di Catanzaro ridetermina la pena in 5 anni e 4 mesi. L’avvocato Francesco Nicoletti, difensore di fiducia di Ferrante, avanza un’istanza alla Corte territoriale tesa ad ottenere la modifica della misura cautelare per il proprio assistito. Istanza accolta dai giudici che dispongono per Ferrante il regime degli arresti domiciliari senza il braccialetto elettronico.

Cosenza, rapina giovane studentessa. Arrestato

COSENZA – Un uomo di 51 anni, originario di Cosenza, già noto alle Forze dell’Ordine è stato posto agli arresti domiciliari dai militari della Stazione Carabinieri di Cosenza Nord. L’uomo, infatti, aveva rapinato una giovane studentessa in Piazza Autolinee a Cosenza, dopo averla avvicinata. I fatti risalgono allo scorso 26 settembre 2016 e il fermo dell’uomo è stato possibile grazie alla pronta denuncia della giovane. La vittima si era vista sottrarre il proprio zainetto con all’interno libri scolastici e un porta banconote con 80 euro all’interno. Dopo la denuncia, gli uomini dell’Arma erano riusciti a risalire al malvivente, subito denunciato all’Autorità Giudiziaria, mentre lo zaino veniva ritrovato dai militari a terra in una via limitrofa al luogo della rapina con all’interno il denaro. Dopo le formalità di rito, l’arrestato veniva accompagnato presso la propria abitazione ove si trova agli arresti domiciliari.

Cosenza, giovane arrestato per stalking

COSENZA – Un giovane di 25 anni, Silvio Monaco di Spezzano della Sila, è finito ai domiciliari su ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Cosenza perchè indagato di atti persecutori aggravati, lesioni aggravate e violenza privata ai danni della sua ex fidanzata. L’ordinanza restrittiva è stata eseguita dagli agenti della Squadra Mobile di Cosenza. Secondo quanto riferito da un comunicato della Questura del capoluogo bruzio, le azioni di violenza fisica e morale portate in essere dal Monaco nei confronti della vittima erano iniziate nello scorso mese di febbraio, sin dall’inizio della loro relazione sentimentale.
Il comportamento “possessivo” del Monaco si era manifestato subito. Infatti lo stesso pretendeva di essere informato preventivamente di tutti gli spostamenti della fidanzata.In particolare la sera del 25 luglio l’arrestato si portava in Corso Mazzini dove trovava la ragazza e, dopo averla percossa violentemente ed averle distrutto il telefono cellulare, la obbligava a salire sulla propria autovettura. Successivamente la conduceva in aperta campagna, continuando a picchiarla e minacciarla e solo dopo aver sfogato l’ira la riaccompagnava nei pressi di casa. La giovane veniva condotta dai propri genitori,  allarmati per quanto accaduto, presso l’ospedale dell’Annunziata dove le venivano prestate le cure necessarie. L’intervento immediato degli uomini della Squadra Mobile facevano venire alla luce la vicenda fatta di continue violenze e soprusi subiti dalla vittima la quale, come gli agenti avevano  modo di appurare, pativa tale situazione già da tempo. Le accurate e tempestive indagini effettuate dagli operatori di Polizia hanno consentito in pochi giorni di accertare la pericolosità delle azioni perpetrate dall’arrestato e di raccogliere tutti gli elementi probatori sufficienti al Pubblico Ministero Antonio Bruno Tridico, per proporre  l’adozione del provvedimento cautelare, richiesta accolta dal Gip Alfredo Cosenza.

Cosenza, evade dai domiciliari. Arrestato dalla polizia

francesco nobleaCOSENZA – Ha evaso l’obbligo degli arresti domiciliari. Per questo sono scattate le manette a  carico di Francesco Noblea, 23 anni, pluripregiudicato di Cosenza. Il giovane è stato notato dagli agenti della Squadra Volante, in servizio di controllo del territorio, mentre percorreva contromano via Lungo Crati, diretto in Piazza Valdesi. Francesco Noblea, incurante della presenza degli operatori della Polizia di Stato, si avvicinava agli agenti e, addirittura dopo averli salutati con un “Buongiorno”, si dava a precipitosa fuga. Immediatamente inseguito, veniva bloccato ed arrestato per evasione nei pressi della propria abitazione. Dopo le formalità di rito, è stato accompagnato presso la Casa Circondariale di Cosenza.

Nascondeva armi e munizioni in casa, arrestato operaio a Vibo

VIBO VALENTIA – Un operario dipendente del Comune di Vibo Valentia in servizio al cimitero, Alessandro Angelo Camillo, 47 anni, è stato arrestato dai Carabinieri e posto ai domiciliari con l’accusa di detenzione abusiva di arma e munizioni e per ricettazione. Nel corso di una perquisizione nella sua abitazione in contrada Cocari, infatti, sono stati rinvenuti una pistola calibro 7,65 marca Browning, acquistata al mercato nero, e due caricatori per la stessa con 37 cartucce. Tali oggetti, secondo quanto emerso, erano nascosti in un mobile. Oltre a questo materiale, i Carabinieri hanno ritrovato anche 25 cartucce per fucile calibro 12.

 

Convalidato fermo per omicidio ladro, i due indagati ai domiciliari

CASSANO ALLO JONIO (CS) – Sono stati posti agli arresti domiciliari i cugini Andrea e Bruno Falbo, di 26 e 24 anni, accusati di omicidio preterintenzionale per la morte di Pietro Armentano (60), ucciso, secondo l’accusa, con calci e pugni dopo essere stato scoperto a rubare. Lo rendono noto i carabinieri modificando una precedente nota in cui si parlava di detenzione in carcere. I due sono stati portati nelle rispettive abitazioni.