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Neri Marcorè ospite del ‘Sabato del Villaggio’ a Lamezia Terme

home_1_02La rassegna il ‘Sabato del Villaggio’, che per l’edizione in corso è arrivata ormai al terzo appuntamento coi lametini, si appresta ad accogliere un nuovo ospite sul palco del teatro Grandinetti. Il prossimo 14 marzo la poltrona rossa sarà occupata da Neri Marcorè, artista poliedrico e tra i più simpatici volti televisivi e cinematografici che l’Italia possa attualmente vantare. La serata, che avrà inizio alle ore 18, funge da ulteriore tassello del cammino di scoperta intorno al tema della passione, al quale si riconducono tutti gli appuntamenti della rassegna.

 
Sul percorso artistico dell’attore indagherà, con la consueta maestria e la delicatezza che gli sono proprie, il direttore artistico della rassegna, Raffaele Gaetano, che nel presentare il nuovo ospite indexha chiarito il rapporto tra questi e l’arte, declinata in due delle sue massime espressioni: la letteratura e la musica. “La letteratura come la musica sono due costanti nell’avventura di attore e di conduttore televisivo di Neri Marcorè. I personaggi che ha interpretato, l’amore per i libri, le molte canzoni che ha scritto e cantato, hanno segnato costantemente la sua evoluzione, da imitatore ad attore, ad autore, fino ad oggi. E probabilmente segneranno ancora il suo futuro. Usando la letteratura come filo conduttore, Neri Marcorè si racconterà al nostro pubblico per questo nuovo eccezionale evento del ‘Sabato del Villaggio’, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua carriera. Una carriera inimitabile che ha saputo coniugare intrattenimento e buon gusto, satira e ironia, teatro e musica, facendoli spesso diventare una cosa sola”, ha spiegato Gaetano.

 
Su questi presupposti il direttore artistico conta di mettere in piedi una serata densa di tante piccole scoperte che daranno modo al pubblico di far luce su uno dei più amati artisti del nostro Paese. È chiaro dunque che le aspettative per questo terzo appuntamento della quattordicesima edizione della rassegna non sono di poco conto, l’auspicio è quindi che le basi gettate da Raffaele Gaetano possano davvero incontrare l’apprezzamento e la partecipazione del pubblico, come peraltro è già avvenuto negli incontri precedenti.

 

Daniela Lucia

Noi e la ‘ndrangheta. Perché la speranza non è una terra straniera

copj170.aspCos’è la speranza per una terra vessata su più fronti dall’opprimente mano della ‘ndrangheta? Come si può ancora sperare, se anche i più piccoli lumi vengono spinti verso l’oscurità? Quesiti semplici, ai quali però spesso risulta complicato riuscire a dare una risposta.
Grondante di problemi che bramano da decenni una soluzione, la Calabria si è ormai accasciata nella morsa di belve feroci che, se da un lato limitano la libertà dei singoli, dall’altro ramificano potere e tentacoli anche nei luoghi della Pubblica amministrazione, ormai presidi di una legalità instabile.
In questo scenario dove davvero la speranza appare come una debole fiammella lontana, il cui cammino per raggiungerla è arduo, s’inserisce l’ultimo lavoro di Francesca Viscone, che viene da anni di studi e indagini sui risvolti sociali della capillare presenza della ‘ndragheta in Calabria. “La speranza non è una terra straniera. Storie di sindaci e amministratori minacciati dalla ‘ndrangheta“, edito da Città del Sole, con la prefazione firmata da Renate Siebert, si presenta al pubblico alla stregua di un campanello d’allarme, con la volontà di insinuarsi nel tessuto sociale trasformandosi in consapevolezza di un fenomeno tristemente diffuso. Un fenomeno complesso e complessivo, composto da casi singoli che pretendono però di essere analizzati nel loro insieme.
La questione diventerà oggetto di confronto e dibattito il prossimo 11042978_10152897857486997_582871337843483778_nsabato 14 marzo a Carlopoli, in provincia di Catanzaro, occasione in cui l’autrice ne discuterà insieme a Simona Dalla Chiesa, figlia del Generale Dalla Chiesa, a Mario Talarico, sindaco della cittadina del Reventino, e a Giuseppe Aleta, ex sindaco di Cetraro e attualmente consigliere regionale. L’evento, organizzato da Avviso pubblico di concerto con il Sistema Bibliotecario Lametino, sarà monitorato dalla coordinatrice regionale di Avviso Pubblico, nonché assessore del comune di Carlopoli, Maria Antonietta Sacco.
La speranza è – o non è – una terra straniera? Ovvero, la speranza diventa un lusso incalcolabile quando la terra che ci appariva familiare assume via via le sembianze di un continente estraneo, irriconoscibile? Una terra di bellezza struggente, deturpata da una volgarità criminale distruttiva e grossolana. Eppure, i mafiosi rappresentano una minoranza. È l’area opaca del consenso col malfattore che consente loro di spadroneggiare”, con queste parole la sociologa Renate Siebert ci introduce alla lettura di un saggio che è molto più di un libro: è riflessione, presa di coscienza… Finestra aperta su una realtà possibile.

 

 

 

Daniela Lucia

Violenza sulle donne. A Cosenza se ne parla con un libro

imagesLo scorso sei marzo, a ridosso della Giornata internazionale delle donne, si è svolta a Cosenza presso la sede dell’editore Falco la presentazione di un volume toccante e profondo dal titolo Maschere di vetro e polvere, della scrittrice catanzarese Jesa Aroma.
L’opera si è focalizzata sulla drammaticità della violenza domestica, consumata tra quelle mura rassicuranti che la famiglia dovrebbe erigere intorno alle proprie donne e che invece, com’è accaduto nel caso di Gioia, la protagonista vessata dal marito Riccardo, risultano effimere, inesistenti. Un libro che parla di violenza, dunque, ma che lascia una finestra aperta al riscatto, alla fuga dalla solitudine imposta. La Aroma ha proposto ai suoi lettori un’indagine interiore di una donna trasformata in oggetto, in proprietà assoluta di un marito spietato. ‘Maschere di vetro e polvere’ si presenta dunque come il percorso introspettivo di una moglie prigioniera. “È un libro che è maturato lentamente dentro di indexme. Non è il tentativo di dare una spiegazione ai fenomeni di violenza, è il racconto di una storia che diventa essa stessa ricettacolo di tante vicende di cronaca che ho letto nel corso degli anni”, ha spiegato l’autrice.
L’evento dello scorso venerdì è stato il primo della rassegna di Aperitivi letterari programmata dalla casa editrice Falco. “Inauguriamo questo format di eventi all’interno della nostra casa e lo facciamo omaggiando ciò che di più prezioso esiste a questo mondo: la donna. E proprio a partire dal libro di Jesa Aroma, che denuncia in più punti le carenze umane e legislative in tema di violenza di genere, prendiamo posizione contro tutte le forme di abuso: specialmente quelle verso i più deboli, compiute dai vigliacchi”, con queste parole ha fatto il punto lo stesso editore, Michele Falco.
Dal tema scottante della violenza tra le mura domestiche e dei soprusi nascosti tra le tende familiari ne è scaturito un forte dibattito che ha coinvolto i convenuti e ha toccato le corde più estreme dell’universo femminile. Il confronto tra l’autrice, l’editore e il giornalista Carlo Minervini è stato accompagnato dalle calde melodie di Januaria che con la sua chitarra ha riempito la serata, proponendo altresì musiche e parole scritte anch’esse dall’autrice Jesa Aroma.

 

Daniela Lucia

Verso una storia della sordità: “Diamo un segno” di Donata Chiricò

E poi ci sono quelle donne e quegli uomini che vivono di segni. Che comunicano attraverso di essi. Che ‘sentono’ i segni e con i segni comunicano. Ci sono donne e uomini che hanno una lingua tutta indexloro, una lingua parallela che è, appunto, la lingua dei segni. Di queste donne e di questi uomini Donata Chiricò, docente di etica della comunicazione presso l’Unical, ha tentato di delineare una storia con il suo ultimo volume “Diamo un segno. Per una storia della sordità” edito da Carocci.
Un libro fondamentale per rintracciare a ritroso la storia dei segni e di chi con questi segni ha agito e continua ad agire, pur avendo vissuto ere di discriminazione e oscurità. O, per meglio dire, di lunghi silenzi.
L’opera, nei giorni scorsi, è stata oggetto di un interessante dibattito nella Capitale moderato da Valentina Valentini, al quale oltre all’autrice hanno preso parte anche Stefano Gensini, docente di filosofia del linguaggio presso “La Sapienza”, Maria Tagarelli De Monte, co-coordinatrice del Dipartimento ricerca e progettazione Istituto Statale Sordi, nonché dottoranda in linguistica presso “Roma Tre”, Dario Pasquarella, regista teatrale, e Dalila D’Amico, dottoranda in musica e spettacolo.
Abbiamo parlato di una lingua parallela che è differente da quella che ‘parliamo’ e ‘sentiamo’. È una lingua ‘segnata’, fatta di gesti, di segni che assumono l’accezione di significante così come per i ‘non sordi’ lo sono le parole. Dunque, segni come parole, come forme grafiche di una lingua viva, con una grammatica, una sintassi, ben precise regole, dei significati… Una lingua, appunto. Una lingua che si ‘parla’ e che si ‘ascolta’, ma che per i ‘non sordi’ è straniera.
I sordi o, per intenderci, i ‘nativi segnanti’, imparano questa lingua tramite un’altra lingua, quella delle parole proferite, che non appartiene alla loro natura.
Nel nostro Paese ‘la lingua italiana dei segni’ non è stata ufficialmente riconosciuta, il Parlamento deve ancora approvare una legge ad hoc e in attesa di quel momento Donata Chiricò ci racconta in che modo e seguendo quale processo il sordo ha smesso di esser considerato paziente ed è diventato finalmente individuo.

L’autrice quindi ricostruisce una storia della sordità come patologia del linguaggio.

 

 

Daniela Lucia

Donne di stile: la moda, la vita, i sogni di Outfitspertutte

unnamed-2L’abbiamo conosciuta la scorsa settimana in un’intervista dal sapore agrodolce, in cui ci ha svelato i suoi “inizi”, i suoi difetti, le sue ambizioni. Alessandra Crinzi, Outfitspertutte, terrona di nascita, genovese di adozione ha una personalità tutt’altro che scontata. E’ grintosa, istintiva, diretta e coinvolgente. Almeno quanto romantica e sensibile. E’ una di quelle che non le manda a dire, che anche se contasse fino a cento, probabilmente, finirebbe ugualmente con il dire la sua. E’ una delle più amate dai social network per i suoi consigli di moda, o forse, ancor di più, per quelle “perle”, gettate così a mezz’asta, in giornate in cui ci si sente irrimediabilmente empatiche con lei, quasi come se a parlare non fosse un’altra persona ma quella parte di noi stessi a cui vorremmo dare vita. Vi avevamo promesso una lunga intervista esclusiva ed oggi, nel giorno dedicato alle donne, soprattutto a quelle che sanno valorizzare il loro cervello più del loro corpo, abbiamo deciso di farvi i nostri auguri così, regalandovi le confessioni, non troppo segrete, di una che tra una maglietta e un mini dress, riesce ancora a ricordare qual è il vero senso della vita.
Tra le soddisfazioni, milioni di seguaci e soprattutto una rubrica su “Il corriere della città”. Cosa significa per te questa nuova esperienza, questo nuovo impegno? Puoi dirci qualcosa in più nel dettaglio del tuo ruolo in questa rubrica?
Quando sono stata contattata dalla direttrice di questo piccolo quotidiano non potevo crederci. Da qualche parte bisogna pur iniziare e questo per me è un bel “lancio”. Mensilmente comparirò su cartaceo, com’ è già accaduto questo mese e giornalmente sarò online, con una rubrica che rispecchia perfettamente il mio spirito e quello di Outfitspertutte; moda, vita, ironia e provocazioni con un collegamento diretto a tutti i miei social. Insomma, non potrei chiedere di più visto che ho aperto la pagina Instagram poco più di un anno fa.
Famosa per non avere peli sulla lingua ma soprattutto per gli aforismi senza “se” e senza “ma”. Quale credi che sia la tua arma vincente e il segreto di tanta ammirazione nei tuoi riguardi?
Sinceramente non lo so, ma in questi mesi ho compreso che le donne e gli uomini – ci sono anche loro, nascosti ma ci sono – che hanno deciso di seguirmi in questo cammino, l’hanno fatto nella consapevolezza che davanti a loro c’era una ragazza “normale” con un miliardo di cose da dire e molto spesso le stesse che tutti pensano ma che nessuno ha il coraggio di esporre. Io me ne frego. Non ho nulla da perdere, non sto sotto contratto con alcuna agenzia, non temo il giudizio altrui né tantomeno le critiche che, se costruttive, mi danno modo di migliorare nonché di arricchire la mia persona. Mi nutro delle opinioni altrui e le elaboro, questo è il pane per i miei denti.
Non hai paura a dire ciò che pensi e soprattutto non hai paura di mostrare agli altri le tue debolezze. Se dovessi dare un consiglio a chi oggi si trova nella tua stessa posizione e magari non ha voglia di andare avanti, cosa gli diresti?
Gli direi che smettere di lottare davanti alla malattia, a un sogno che sembra irrealizzabile, o a qualsiasi altro ostacolo che ci si pone davanti, non è da perdenti, ma è estremamente stupido. Ogni giorno dev’essere il “nostro”, dobbiamo cercare di essere padroni della nostra vita e non fermarci. Inoltre, chiedere aiuto nel momento del bisogno non dev’essere visto come un segnale di debolezza, ma come esplicita manifestazione di coraggio. Parlare delle proprie debolezze rende più forti, ometterle logora.

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E’ un mondo complicato, il lavoro manca, i giovani perdono le speranze e stanno a spasso. Secondo te, alla tua maniera, che cosa bisognerebbe fare per cambiare qualcosa in questa situazione?
Smettere di scappare. Ingegnarsi, reinventarsi, mai cessare di combattere. La società, la politica ci vuole afflitti e senza speranza e noi dobbiamo sollevare la testa ed essere l’opposto. Non dobbiamo mai smettere di sognare di intraprendere la carriera desiderata. I tempi sono cambiati, ma io credo che in un modo o nell’altro, nel mondo ci sia spazio per tutti. Vogliono farci credere che non sia così, in modo da farci abbandonare la voglia di fare e questo prima di poter intraprendere la nostra strada, quella giusta. E’ un circolo vizioso; la società ci demoralizza e noi sottostiamo, facendo sì che siano sempre i soliti ad andare avanti. Non dev’essere così. Bisogna smettere di piangersi addosso cercando di portare avanti le proprie idee, affrontando i sacrifici necessari e abbandonando la convinzione che raggiungere gli obiettivi preposti sia facile, perché non è così, tutt’altro.
Diamo i voti: Barbara D’urso/Belen Rodriguez/Maria De Filippi/ Raoul Bova/ Oriana Fallaci. Un mito al quale vorresti assomigliare e uno che vorresti volentieri far crollare.
Barbara D’Urso. Questo è un tranello perché se mi segui sai benissimo che non provo simpatia estrema nei suoi confronti, anzi. Comunque le assegno un bel N.C, perché a parer mio una persona che sfrutta il dolore altrui per intrattenere il suo pubblico non può essere classificata in alcun modo se non con degli aggettivi non ripetibili in un intervista carina e seria come questa.
Belen, 7 e 1/2. È bellissima, questo è un dato oggettivo. Pare simpatica e credo che stia sfruttando il momento come farebbe qualsiasi altra sua coetanea. Le rimprovero la continua esposizione mediatica alla quale sottopone il suo bambino, come rimprovero gli imbecilli che giornalmente la insultano sui social. Per il resto non saprei, ma solo perché non la seguo con costanza.
Maria De Filippi 8. Ammiro il fatto che sia una stacanovista e la trovo un’ottima comunicatrice. I suoi programmi non mi garbano, ma questo è un altro discorso. Adoro la serietà e la professionalità, lei mi trasmette entrambe le cose.
Raoul Bova. Beh, 6 politico per la bellezza. Il giorno che smetterà di recitare gli darò un bel 10.
Oriana Fallaci, 10 e lode. LA giornalista, LA scrittrice. LA donna che ha avuto le palle di scrivere quello che pensava su argomenti delicatissimi a livello politico e sociale, senza mai preoccuparsi delle conseguenze.
Il mito al quale vorrei assomigliare è mia madre. Lei è una donna meravigliosa, colta, intelligente, forte nonostante la vita abbia cercato di renderla più fragile. E’ stata una madre stupenda e insomma, non posso idealizzare altre donne, perché conosco lei e lei per me è la perfezione.Un mito che vorrei far crollare. Hai tempo? Perché ne ho più di un paio.
Ultima domanda. Un sogno, un progetto, un pensiero, un consiglio. In esclusiva, ai lettori di 8@30.
Un sogno: scrivere ed essere letta da centinaia di migliaia di persone.Un progetto? Outfitspertutte. Desidero portare avanti l’esperienza social ampliandola.
Un pensiero: quello che mi porta a riflettere che mai nella mia vita avrei pensato di rispondere alle domande di un’intervista.
Un consiglio: sollevate lo sguardo da terra e camminate a testa alta, solo così potrete rendervi conto di quale sia la vostra strada.
E noi, di 8@30style, auguriamo ad Alessandra di continuare dritta per la sua, certi che il tempo le darà “le paillettes” che merita. Buona festa della Donna a tutte!

Lia Giannini

“La signora di Wildfell Hall”. Il grido di rivolta di una donna per tutte le donne

 

Brontë-sisters-520x245Quando nasciamo siamo ‘femmine’, lo gridano ai vicini, ai parenti, agli amici. È femmina. Cresciamo e diventiamo donne, quindi mogli e madri. E poi basta. Immagino che sia questa la riflessione alla quale dev’esser giunta Anne Brontë guardando la propria vita, le quattro sorelle più grandi e il fratello scapestrato. Un’esistenza difficile, con un destino già tracciato da altre prima di lei, dalla tradizione asfissiante per una mente creativa e viva come la sua. Una donna poco meno che trentenne che per scrivere usava uno pseudonimo maschile e che, in tutta franchezza, conosceva il femminismo più a fondo di quanto possiamo saperne noi, giovani e meno giovani donne di un’epoca in cui abbiamo fatto conquiste per le quali non abbiamo neanche combattuto e sulle quali ancora barattiamo. Lo conosceva più a fondo, questo femminismo, questo orgoglio di essere donna, di appartenere a una metà del genere umano per nulla inferiore, sebbene costantemente schiacciata e sopita dalla bramosia maschile di prevaricare, si avere per sé la fetta migliore del creato. E sapeva bene di avere un valore diverso dall’ancestrale maternità al punto da non accettare l’oscurità impostale dagli uomini, ma affidando proprio a un uomo, un essere fittizio, il proprio grido d’indipendenza. Fu così che nel 1848 mise nelle mani indexdi Acton Bell, il proprio io senza gonnella, la sua personale fiammella di rivolta e questi, senza esitare, diede alle stampe uno dei più profondi e avanguardistici romanzi sulla condizione femminile, ossia La signora di Wildfell Hall (The tenant of Wildfell Hall).
Con questo romanzo, da poco riproposto in Italia da Neri Pozza, Anne Brontë, la sorella meno conosciuta dell’irrequieto trio letterario, ha puntato il dito contro l’ingiusta sottomissione della donna, considerata oggetto o addirittura merce di scambio priva di sentimenti e passioni. La vicenda si apre con un mistero che avvolge questa nuova affittuaria, chiusa come uno scrigno e, allo stesso modo, protettrice estrema di un segreto amaro. Parola dopo parola, scoperta dopo scoperta, la Brontë ha allestito un romanzo crudele e tagliente, denso di risvolti che sconvolgono e, per certi versi, scandalizzano; in questo libro ci si conosce tutti, ma in fondo nessuno sa chi è la persona che ha al fianco perché “si può guardare nel cuore di una persona attraverso i suoi occhi e si può arrivare a conoscere l’altezza, la larghezza e la profondità dell’anima di un altro in una sola ora, mentre non ti basterebbe una vita per scoprirle se la persona non fosse disposta a rivelarle o se tu non avessi la sensibilità necessaria a comprenderle”.
2015-01-03 17.00.00-1Quest’autrice relegata in secondo piano, surclassata da uno pseudonimo che la dice lunga sulle proprie prigioni sociali, non usa mezzi termini, ma al contrario pizzica con estrema precisione le corde del lettore costringendolo a non perdere di vista la strada maestra che lo condurrà alla soluzione del mistero. Nessuna pietà viene mostrata per la cattiveria, per le menzogne e per i tradimenti. I peccatori, che sono tali non nei confronti di Dio bensì nei confronti dei loro simili, pagano per il dolore che hanno inflitto. La malvagità è smascherata e fatta a brandelli, ma il processo non è immediato, in quanto necessita della metabolizzazione, della consapevolezza dell’errore. E nel mezzo si fa largo il solco tracciato dalle gioie e dalle sofferenze della vita, ci sono le donne che combattono per non farsi seppellire vive in un mondo costruito dagli uomini per gli uomini. “A chi è dato meno, meno è richiesto; ma a tutti è richiesto di sforzarsi al massimo”.
Le donne che Anne Brontë tratteggia in questo romanzo non sono coraggiose e neppure intelligenti; esse si limitano ad alimentare quella naturale inclinazione a resistere alle intemperie affrontando il dolore armate sono di fiducia in sé stesse. Chissà se, a questo punto, La signora di Wildfell Hall potrà essere considerato alla stregua di un antesignano manifesto del femminismo. Magari sì, ma prima di tutto è un grido di rivolta che ci sospinge verso il futuro ricordando che “la possibilità di morire c’è sempre; ed è sempre bene vivere tenendola presente”.
Buona Giornata internazionale delle Donne!
Daniela Lucia

Pittura e poesia, parte l’iniziativa #undisegnoperilfilorosso

logoPuò la poesia fondersi con la pittura? Le due arti sorelle sono in grado di sorreggersi a vicenda nel difficile processo della divulgazione culturale? Siamo al cospetto di quesiti ai quali dare una risposta risulterebbe esente da qualsiasi difficoltà, perché infatti non capita di rado che ci si trovi al cospetto di un naturale incontro tra poesia e pittura, in virtù del quale le due arti sono state cucite insieme da quel filo possente e senza nodi, traboccante di emozioni, sentimenti e passioni, che è, appunto, il desiderio di conoscenza. Tante sono state, dunque, le risposte alla nostra domanda e tra queste si pone oggi quella singolare, ma importante, che sta avanzando la rivista culturale ilfilorosso con l’iniziativa #undisegnoperilfilorosso.
Forte dell’esperienza collaudata a partire dal numero 50 con l’inserimento di opere pittoriche in copertina, la rivista ha voluto coinvolgere i propri lettori (e non solo) in un nuovo progetto, invitando gli artisti interessati a creare la ‘loro’ copertina. Questa, una volta definita e inviata alla redazione, verrà valutata e, se ritenuta in sintonia con la linea editoriale, verrà utilizzata come copertina del prossimo numero, la cui uscita è prevista a giugno. Le altre opere pervenute non verranno scartate, ma si alterneranno come immagini in primo piano del nuovo sito della rivista.
Gli artisti che vorranno metter mano a matite, pennelli, acquarelli, tempere e quant’altro, non dovranno necessariamente inoltrare l’opera originale, ma potranno limitarsi all’invio di una foto ad alta risoluzione corredandola dalla propria nota biografica.
Come abbiamo poc’anzi accennato, già dal numero 50 ilfilorosso11056785_10206240069309323_1401021276_n ha deciso di mettere in evidenza sulle proprie copertine degli elaborati artistici che riflettessero i contenuti generali della rivista. Si è iniziato con opere in bianco e nero con particolari rossi per passare poi, negli ultimi numeri, alla scelta di elaborati carichi di colore.
Le copertine più recenti sono state caratterizzate dai trasognati papaveri di Enza Capocchiani, dall’inesorabile trebbiatrice in un 11041506_10206240081629631_499563382_nplacido campo di grano di Giulia Brandolisio, da un caldo tram rosso in una Milano intorpidita dalla neve di Lella Buzzacchi, tutte pittrici/poetesse bergamasche che collaborano attivamente con il gruppo Fara di poesia di Bergamo. E, risalendo a ritroso la cronologia delle uscite, ci si ritrova faccia a faccia con le calde e decise pennellate del volto evanescente firmato da Mimmo Legato, docente di discipline pittoriche e presidente dell’associazione culturale Art Study Space di Rende, o si finisce col passeggiare nei vicoli densi di storia e ricordi di una Cosenza fissata sul foglio bianco da Mariateresa Aiello, pittrice e scrittrice cosentina, oppure ci si riposa all’ombra del poderoso ulivo della poliedrica artista perugina Serena Cavallini.
Tuttavia, la finestra de ilfilorosso non si è affacciata sulla pittura solo attraverso le proprie copertine, ma anche dedicando a questo genere d’espressione artistica un’apposita rubrica all’interno della rivista dal titolo FilodArte. In questa sezione ogni numero mette in contatto il lettore con il mondo delle arti figurative presentando elaborati artistici adatti alla stampa in bianco e nero, recensendo volumi non solo di poesia ma contenenti anche opere artistiche, soffermandosi su pittori contemporanei e illustrando mostre o eventi affini.
Pertanto vediamo che a monte dell’iniziativa #undisegnoperilfilorosso v’è un radicato interesse nel promuovere l’arte in tutte le sue espressioni, perché se è vero che la poesia da sola è in grado di salvarci dalla barbarie, è altrettanto assodato che la pittura, con la sua possente forza empatica e il turbinio di colori, può sostenerla in questa crociata. Con la presente iniziativa, ilfilorosso ha dato il soffio di vita a un circolo virtuoso tra pittura e poesia che spetta ora agli artisti alimentare con le proprie opere.

Daniela Lucia

Quattro chiacchiere e un caffè con Juliè-Art

Dopo il sole prematuro deglilogo ultimi giorni, il grigiore e la pioggia hanno ripreso pieno possesso delle nostre giornate, ma se non può essere la natura a regalarci un po’ di colore, l’arte sopperisce a una simile mancanza.
E l’arte, quella vera, che gronda di passione e contenuti, a volte si lascia scorgere a sorpresa, magari su un muro abbandonato, ancorata a un lampione, affacciata da un ponte barcollante. Sembra volerci osservare o addirittura guidarci in un mondo nascosto, quasi nostalgico, dove i colori (appunto) non hanno nessuna paura di mescolarsi con il bianco e nero. Il risultato è la scoperta empatica di un universo parallelo, che possiamo cogliere persino tra i vicoli dei nostri paesini. È più o meno quello che accade quando il segno lasciato (mai per caso) porta la firma di Juliè-Art, ormai nota artista lametina d’adozione, che riempie spazi dimenticati con frammenti di storie narrate per immagini.
Juliè non ha neanche trent’anni, è alta ed esile, uno sguardo forte con occhi vivaci e sorridenti. È friulana, ma vive a Pianopoli, vicino Lamezia Terme. E soprattutto lasca il suo zampino un po’ ovunque. torre eiffelDavanti a una tazza di caffè, mentre la pioggia continuava a scendere implacabile, abbiamo fatto quattro chiacchiere, scoprendo insieme il suo percorso artistico, le sue scelte e svelando le prospettive e i progetti futuri. Juliè-Art ci ha risposto con un po’ di timidezza, ma con quella medesima tenacia che caratterizza tutti coloro che hanno trasformato una passione nel proprio messaggio al mondo.
Il tuo ingresso nel mondo dell’arte è stato da autodidatta. Ci vuoi raccontare com’è iniziata questa avventura?
Juliè-Art: Sono entrata nel mondo della pittura da piccolissima. In casa c’era mia mamma che dipingeva e io la osservavo. Così l’occhio rubava il mestiere. Ho appreso tutta la tecnica da bambina, poi per molti anni ho accantonato tutto. Impara l’arte e mettila da parte, si dice. Per molto tempo non l’ho considerata. Poi però, una volta rimasta sola e senza lavoro, mi sono chiesta cos’è che sapessi fare veramente e, resami conta che l’unica cosa che conoscevo bene era la pittura, ho rispolverato tutte le mie conoscenze. Da lì son venute fuori delle belle cose, soprattutto a livello di ritrattistica. È in questo modo che tutto ha avuto inizio, fino ad arrivare a oggi, circondata da persone che mi sostengono e aiutano e che ringrazio per questo costante appoggio, anche dal punto di vista pratico.

    In merito alle tecniche adottate, ho visto che ti sei cimentata col carboncino, passando per la pittura a olio, i graffiti, il chiaro-scuro, giungendo poi al wheatpasting (poster art). Ognuna di queste tecniche rappresenta un periodo a sé stante o convivono contemporaneamente nella tua produzione artistica?

Juliè-Art: Dunque, i primi passi li ho mossi con la grafica. Diciamo che con la grafica e i disegni ho parecchia manualità e creatività, riesco a disegnare quello che voglio. Trovo però limitante lasciare l’opera sul foglio. Mi è parso fin da subito interessante trasferire i disegni su una parete. L’effetto è totalmente differente! 2014-09-26 18.49.35Uso fogli molto leggeri, ci lavoro e trasferisco sul muro. Non è inquinante perché si usano materiali come colla per carta da parati o farina e acqua. Non inquina, non sporca. E se non piace, si toglie!

    Il tuo nome si associa alla street art, anche se tu sei sembrata abbastanza intimidita da una simile associazione. Vorrei sapere quindi qual è la tua accezione di street art? Come vivi questa esperienza?
Juliè-Art: – La necessità di buttarmi nella street art nasce dall’esigenza di trovare un nuovo sbocco dal quale far affiorare la mia immagine, un modo diverso per esporre la mia arte. Se andiamo a vedere, non ci sono molti artisti che disegnano a carboncino e poi trasferiscono l’opera sul muro. Con le esposizioni ‘chiuse’, le cosiddette mostre, non avevo molto feeling: mi attrae molto di più un’esposizione a cielo aperto, fruibile da tutti e gratuita. Inoltre c’è il pizzico di adrenalina che ti dà l’illegale, perché in fin dei conti è sempre affissione abusiva! Però anche rispetto a questo, devo ammettere che nessuno mi ha mai impedito di ‘lavorare’. Credo di aver avuto campo libero soprattutto perché che si tratta di opere che riqualificano il muro, danno un aspetto diverso all’ambiente.
Recentemente ha destato non poco interesse la tua opera contro l’inquinamento del torrente Piazza, a Lamezia Terme. In che senso l’arte può essere protesta o comunque un campanello d’allarme?
Juliè-Art: Più che altro ritengo si possa intendere come segnale di sensibilizzazione. La Calabria è un posto bellissimo, il problema è torrente piazzache si vede troppo sporco ed è un gran peccato. Io lo vivo da esterna e vedere un paesaggio così bello, ma sporco, fa piangere il cuore. Quindi ho pensato a un modo forte per attirare l’attenzione su questo problema. Con il disegno ho voluto dire “Svegliatevi! I pescatori tirano buste fuori dall’acqua, non pesci!”. Su questa linea si dispiega anche il prossimo progetto… del quale ancora però non posso parlare.
Quindi possiamo dire che le tue opere sono legate da un filone comune?
Juliè-Art: Su questo non posso rispondere. È una cosa che andrà avanti, sto aspettando anch’io. Il filo conduttore lo vedremo insieme!

 

Daniela Lucia

Violenza sulle donne. Un aperitivo e un libro per discuterne a Cosenza

Tra i mali assoluti di una società che si evolve dal punto di vista tecnologico ed economico, ma rimane ancorata a pregiudizi e rapporti ‘malati’, vi è senza alcun dubbio la violenza che si dispiega in diverse accezioni. La violenza nei confronti del diverso da sé, del quale non comprendiamo le ragioni, le idee, i comportamenti; un’aggressività gratuita, priva di fondamenti (se mai la violenza possa trovare giustificazione). Ma ancora più atroce è il dolore inferto all’inerme, al debole, al soggetto posto in condizioni di inferiorità fisica o psicologica. Una violenza da codardi che è sicuramente la più diffusa, quella che è più difficile da estirpare perché spesso viene taciuta e nascosta, quasi protetta, dalle stesse vittime. Il romanzo “Maschere di vetro e polvere” della scrittrice catanzarese Jesa Aroma, edito dalla casa editrice Falco, indaga proprio su questo genere di violenza, che coincide soprattutto con drammi domestici vissuti in un’intimità che dovrebbe essere invece sinonimo di sicurezza e protezione.

Una storia di sottomissione e riscoperta di sé che stimolerà una discussione densa di spunti proprio il prossimo venerdì, 6 marzo, in occasione dell’aperitivo letterario che si terrà a Cosenza a partire dalle ore 19 presso la sala conferenze della casa editrice Falco.

L’incontro con l’autrice e con tematiche tanto intime quanto delicate verrà scandito dalle raffinate note musicate da Januaria.

L’evento nasce dalla volontà di opporsi a quest’ondata di violenza che, nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione, non sembra essersi ancora quietata. Dire ‘no’ tramite e con l’arte, lottare con un libro e con la cultura rappresenta di certo un’arma potente che, se usata con mira e destrezza, può riportare nel vaso di Pandora tutta quella brutalità e quella violenza che da lì erano uscite disseminando solo devastazione e sconfitte.

Un libro per combattere, dunque, ma anche per discute insieme sul quel genere di violenza che si nasconde dietro la facciata rassicurante delle più felici foto di famiglia. All’incontro saranno presenti, oltre all’autrice, anche l’editore Michele Falco e il giornalista Carlo Minervini.

Un bicchiere di prosecco, un libro forte e una musica soave, i migliori ingredienti per godere insieme di cultura e riflessione, senza lasciar cadere nell’oblio temi forti e importanti com’è appunto quello sviscerato dall’opera di Jesa Aroma.

 

Daniela Lucia

Gestione beni confiscati alla mafia. Gratteri fa il punto a Lamezia

LAMEZIA TERME – Parlare di Calabria significa parlare di tesori e meraviglie, di gente orgogliosa e dedita al lavoro, di mare accogliente e di montagne folte e rigogliose. Tuttavia non possiamo nasconderlo, parlare di Calabria significa anche parlare di ‘ndrangheta, dei drammi e dei dissesti sociale ed economici provocati da questo genere di criminalità organizzata e delle tecniche di contrasto adottate dalle autorità e dalle istituzioni. Questa è la realtà con la quale dobbiamo fare i conti e in riferimento alla quale la società civile deve equipaggiarsi se intende infliggere a tali criminali ulteriori sconfitte.

Proprio sul punto è stato organizzato a Lamezia Terme un convegno, previsto per domani 28 febbraio dalle 17.30 alle 19.30 presso il Savant Hotel, nel corso del quale Nicola Gratteri, Procuratore Aggiunto di Reggio Calabria, affronterà il tema “Gli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata. La gestione dei beni confiscati alla mafia“. All’evento, moderato da Ugo Floro, prenderanno parte Luigia Spinelli – Sostituto Procuratore di Latina e don Giacomo Panizza – Presidente Comunità Progetto Sud.

Lo scorso 21 febbraio la Commissione parlamentare antimafia è intervenuta sulla piaga criminale presso la Prefettura di Catanzaro. Da quell’incontro era emerso che il territorio catanzarese sta offrendo alla criminalità organizzata nostrana un terreno fertile nel quale attecchire, tant’è che nessuna difficoltà pare essersi eretta al fine di contrastare l’avanzata ‘ndranghetista. I colloqui della giornata, durati ben cinque ore, hanno portato quindi alla conclusione che probabilmente ciascuno di noi conosceva già: alcuni territori fungono da sedimento per la criminalità organizzata e in questo caso il territorio esaminato, quello catanzarese, non pone alcun ostacolo.

Se queste sono le dinamiche che stanno alla base del processo di estirpazione della ‘ndrangheta dai nostri territori, è chiaro che il fronte della lotta alla criminalità debba armarsi non solo in senso letterale, quanto soprattutto sul versante delle conoscenze e competenze. Come abbiamo visto negli scorsi decenni, il sequestro dei beni si è sempre mostrato alla stregua di una valida formula di contrasto perché trattiene le risorse economiche e finanziarie che alimentano il potere della ‘ndrangheta. È pertanto auspicabile che i professionisti e le istituzioni seguano percorsi formativi e informativi specifici tra i quali s’inserisce a pieno titolo l’incontro di domani. Si tratta infatti di un evento organizzato, in primis, per gli avvocati, ma aperto al pubblico proprio per la valenza sociale e civile dei temi affrontati.

 

Daniela Lucia